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AperturaImprese Mer 22 febbraio 2023

Carni sintetiche, la lobby va in pressing a Bruxelles

Scordamaglia (Assocarni): "presto una legislazione nazionale per bloccare l'arrivo sul mercato di alimenti prodotti in laboratorio" Carni sintetiche, la lobby va in pressing a Bruxelles Cibo sintetico
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Dopo i vaccini, avanza il nuovo business del cibo in laboratorio

Manca ancora il passo formale dell’autorizzazione alla vendita di alimenti prodotti sinteticamente. Ma, giorno dopo giorno, a Bruxelles sale il pressing delle lobby che rappresentano un nutrito gruppo di start-up e persino società quotate del food, pronte a fare affari con carni, pesce e latte realizzato in laboratorio. Il piatto del resto è ricco, visto che oggi il solo mercato della carne vale circa 180 miliardi. Con un consumo che si stima possa crescere del 70% da qui al 2050, come spiegano dall’École de Guerre économique di Parigi.

Chi sono i grandi investitori

Ecco perchè alle spalle di alcune start-up ci sono i nomi di grandi e potenti investitori internazionali, pronti ad avere un ruolo in quella che è considerata la partita del futuro: sfamare il mondo. “La filiera attira grandi investitori come Bill Gates, Richard Branson (patron di Virgin), Jack Welch (ex numero uno di General Electric) o Tyson Foods. E cioè la più grande impresa alimentare statunitense la cui reputazione non è stata sempre connotata dal rispetto di canoni etici ed ecologici. Viste le difficoltà tecniche, i prezzi sono ancora elevati, ma la sfida è enorme” chiariscono dall’École de Guerre économique.

Alla lista si aggiunge poi anche la brasiliana Jbs, il più grande produttore al mondo di carni, competitor del gruppo Cremonini, che ha pensato bene di diversificare attraverso la start-up spagnola Cubiq. Del resto, la scelta è quasi obbligata se è vero che, secondo un rapporto di GovGrant, nel 2040 il consumo di carne sintetica supererà quello di carne naturale. Un sorpasso che si materializzerà prima di tutto negli Stati Uniti per poi arrivare anche nel Vecchio continente. 

Gli slogan sono accattivanti

Il sapore del mondo, salvare la terra con il cibo sintetico, contribuire a preservare il pianeta, alimenti sostenibili e nutrienti. E’ così che viene descritta la produzione di carne e pesce in laboratorio. Cibi che arriveranno sulle tavole degli europei solo dopo il via libera dell’ Autorità europea di sicurezza alimentari (EFSA). Il pressing è decisamente elevato, finalizzato a far accettare all’opinione pubblica l’idea dello sbarco dei cibi sitetici fra gli scaffali dei supermercati. 

L’obiettivo? Far accettare l’idea che gli alimenti non siano solo prodotti da madre terra, ma in laboratorio. Con l’ottimizzazione delle materie prime, risparmio energetico e maggiore ecocompatibilità. Almeno sulla carta. Senza entrare sul tema del gusto, che le start-up del settore dicono essere identico se non migliore dell’originale. “Usiamo poche cellule di un animale per far crescere carne, pesce e olio senza allevare l’intero animale” spiega il sito della Cellular agricolture Europe, associazione con sede a Bruxelles attorno cui ruotano le più importanti aziende del settore nel Vecchio continente.

Quali sono i protagonisti in Europa?

Sono start-up che ruotano attorno alla Cellular agricolture Europe, associazione che rappresenta gli interessi dei gruppi del settore a Bruxelles. Molte sono israeliane. E non potrebbe essere altrimenti visto che Tel-Aviv è una sorta di avamposto tecnologico nel cibo sintetico. Sono le isrealiane Aleph farms e SuperMeat. Ma non mancano società europee: dalla spagnola Cubiq Foods alle francesi Gourmey e Vitalmeat, fino alle inglesi Highersteaks Ivy farm, alla tedesca Bluu seafood. Poche ancora le quotate come Steakholder foods, Wilk o Tyson Foods.

Sul mercato c’è però chi scommette già su un boom di Ipo sulla falsariga di quanto avvenne in un passato, neanche poi troppo lontano per le biotech, che promettevano di curare tutti i mali del mondo con molecole ancora in fase di sperimentazione. Del resto, il settore ha costante bisogno di denaro, visti gli investimenti elevatissimi.

Secondo il Good Food Institute, organizzazione no-profit che promuove alternative vegetali e cellulari ai prodotti animali, gli investimenti per produrre carne coltivata, tra il 2015 e novembre 2019, hanno superato i 150 milioni di dollari. Secondo McKynsey, nei prossimi 5 anni ci saranno altri 25 miliardi di investimenti. Il ritmo della ricerca dipenderà poi anche dallo spazio alla commercializzazione, finora limitato dal passaggio autorizzativo della vigilanza sulla salute alimentare. Tuttavia il processo è in divenire da quando, nel dicembre 2020, è arrivato il primo via libera da parte dell’Agenzia alimentare di Singapore (SFA) per la start-up californiana Just Eat. È stata la prima autorità di regolamentazione al mondo ad approvare un prodotto a base di carne coltivata per la vendita sul mercato. E non sarà certamente l’ultima.

Assocarni lancia l’allarme

“Riteniamo che ci sia in atto una vera e propria campagna di disinformazione per sottovalutare i pericoli connessi  a produzioni al consumo di carni sintetiche e più in generale di prodotti sintetici come il latte, i formaggi e il pesce che arriveranno subito dopo” spiega Luigi Scordamaglia, numero uno di Assocarni, associazione che riunisce i produttori di carne italiani.

“Ci sono interessi enormi di gruppi per accelerare i processi e fare in modo che accada quanto già avvenuto negli Stati Uniti dove la Food & Drug Administratation ha autorizzato il primo prodotto sintetico in assoluto, un pollo di sintesi di Upside foods, impiegando pochi mesi per la valutazione degli effetti quando per autorizzare un nuovo farmaco, completamente nuovo, ci vogliono circa dieci anni” prosegue.

In pratica, “i grandi gruppi puntano a sempificare e accelare la procedura per autorizzare un prodotto alimentare, in questo caso la carne, che non è mai esistito – riprende -. Per noi è profondamete irresponsabile, trattandosi di un alimento che è fatto da cellule indifferenziate cresciute in un bioreattore con fattori di crescita ormonali”. Secondo Scordamaglia, al momento “è assolutamente impossibile prevedere quali saranno gli effetti a medio-lungo termine” dell’alimentazione a base di questa tipologia di prodotti.

Per questo il numero uno di Assocarni propone “un percorso ad hoc proprio perchè non è mai esistito un prodotto simile e quindi la valutazione non potrà certo essere basata su quattro dati che gli stessi produttori forniscono. È un allarme assoluto da lanciare a prescindere che la cosa si faccia in dodici o ventiquattro mesi. Comunque sono cose incompatibili con il rischio e con il principio di precauzione”.

Una legge nazionale può cambiare le cose

Anche a tutela della filiera del food italiano, che vale un quarto del Pil, circa 570 miliardi. “Il governo italiano ha preannunciato una  legislazione nazionale su questi temi che speriamo arrivi in tempi rapidissimi, ancora prima del riconoscimento. Un divieto nazionale finalizzato a disporre di dati veri e non dati condizionati o inesistenti” aggiunge. Anche perchè in ballo, oltre ai rischi per la salute, c’è anche il rischio di una concentrazione antidemocratica in pochissime mani del controllo dell’alimentazione globale, condizionato anche dalle enormi risorse e dall’enorme influenza che i grandi investitori hanno sulle istituzioni. “Incluse quelle europee – conclude -. Con la presidente Ursula von der Leyen che è irresponsabilmente sollecita ad ascoltare queste multinazionali globali”. 

 

 

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