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AperturaImprese Sab 04 marzo 2023

Poke House, Pichi: "Nel 2023 20 nuovi ristoranti ed espansione in Arabia Saudita ed Emirati"

Per Matteo Pichi fondatore di Poke House in vista l'ingresso di un nuovo fondo e tra due anni il debutto in Borsa Poke House, Pichi: "Nel 2023 20 nuovi ristoranti ed espansione in Arabia Saudita ed Emirati"
Mikol Belluzzi
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Mikol Belluzzi

Poke House aprirà 20 nuovi ristoranti nel 2023

Cento milioni di euro di fatturato nel 2022. Una ventina di negozi da aprire quest’anno e l’obiettivo di espandersi nel Middle East e in Nord Africa. Sono numeri e obiettivi di Poke House, brand leader globale di questo cibo fresco e colorato d’origine hawaiana, nato nel novembre 2018 dal sogno di due amici, Matteo Pichi, classe 1986, e Vittoria Zanetti, classe 1991. Il gruppo ora conta mille dipendenti e ha già all’attivo oltre 130 insegne in nove paesi – Italia, Regno Unito, Olanda, Spagna, Francia, Portogallo, Romania, Austria e Stati Uniti.

Proprio l’America è stata determinante l’internazionalizzazione del brand, la cui presenza si è consolidata ulteriormente dopo l’acquisizione – avvenuta un anno fa – della catena Sweetfin, uno dei brand più iconici in California, conosciuto come il precursore del poke e leader delle bowl plant-based negli Usa. Inoltre, qualche giorno fa, Poke House ha aperto la sua seconda location a Miami, a Lenox House, e ora l’obiettivo è quello di “espandersi nel Middle East e in Nord Africa” come racconta il fondatore di Poke House Matteo Pichi a Verità e Affari.

Siete nati da poco eppure state crescendo molto velocemente. Quale è il vostro segreto?

Io vengo da Glovo Italia dove ero amministratore delegato e li ho imparato la corsa contro il tempo per guadagnare quote di mercato il più rapidamente possibile. Grazie a questa esperienza ho avuto la fortuna di capire che il poke, essendo uguale in tutto il mondo, era pronto a scoppiare a livello globale. Per questo abbiamo deciso di rischiare e di espanderci velocemente fuori dall’Italia, acquisendo la catena leader in ogni paese e sfruttando così la nostra mossa da first mover.

Una strategia che vi ha ripagato a guardare i numeri.

Dopo 4 anni siamo già in 9 paesi e in più di metà siamo leader, mentre negli altri ci posizioniamo tra i primi operatori del settore. La velocità di manovra ci ha consentito di essere i primi al mondo. Per farlo abbiamo sfruttato la nostra conoscenza del settore, al punto che in alcuni paesi siamo stati noi a introdurre il poke ed è subito piaciuto.

Quali sono stati i vostri punti forza?

Non dico che non abbiamo fatto errori, ma il nostro vantaggio è stato quello di avere già raccolto i capitali, di avere un’ottima conoscenza dell’ecommerce e di vendere il poke, la cui ricetta è uguale in tutto il mondo. Questo cibo, infatti, ha come punto di forza di essere sano – dato che la base sono riso, pesce e verdure – e di poter essere mangiato in negozio o consegnato a casa senza che si alteri.

Come sta proseguendo la vostra espansione all’estero?

Il nostro prossimo obiettivo è crescere in Arabia Saudita, negli Emirati e in Nord Africa, dove ci sono degli ottimi livelli di delivery e la popolazione è giovane. In Arabia Saudita, in particolare, il 70% della popolazione ha meno di 40 anni.

Ma per espandervi avete bisogno di nuove risorse. Dove le trovate?

Qualche mese fa abbiamo dato mandato a Goldman Sachs per un aumento di capitale. Ora ci stiamo guardando intorno con calma perché non è il momento ideale a causa dell’aumento dei tassi e del calo delle valutazioni per imprese come la nostra, ma per aprire nuovi punti vendita c’è bisogno di capitali. Attualmente abbiamo già due fondi di private equity nel nostro capitale (Eulero Capital e Mip di Angelo Moratti) e ne cerchiamo un altro per continuare la corsa.

E poi l’obiettivo è la Borsa?

Io sogno la Borsa, un traguardo che fa felici anche i nostri finanziatori. Però non mi pare questo il momento opportuno sul mercato, penso che serviranno un paio d’anni d’attesa per l’Ipo.

Continuate ad aprire negozi, ma siete forti sul delivery. Quali sono le percentuali sul vostro giro d’affari?

Attualmente il delivery vale il 40% del fatturato, quota che va dal 30% dell’Italia al 50% di altri paesi. Comunque, più apriamo nuovi punti vendita più lo stesso delivery si distribuisce meglio tra i vari locali. Un livello del 40% di consegne online è l’ideale perché ci consente di ottimizzare i punti vendita e i costi, dato che il delivery è fatturato garantito ma, dovendo pagare le commissioni alle piattaforme, ha margini più bassi.

Per questo continuate ad aprire punti vendita e non vi concentrate sul take away?

Poke House continuerà ad aprire negozi grandi, con almeno 30 posti a sedere, perché vogliamo che i nostri clienti consumino i loro pasti in tranquillità e in luogo accogliente. Il take away non fa parte della nostra cultura.

Tanti vostri competitor si lamentano di non trovare personale. E’ così anche per voi?

Al contrario, noi abbiamo un turnover del 6%, bassissimo per un ristorante, perché abbiamo grande attenzione per il nostro staff e questo si trasforma in una grande attenzione anche per il cliente. Per fidelizzarlo, infatti, non devi dare solo del buon cibo, ma anche accoglienza e creare una community di cui tutti si sentano parte. Solo così Poke House potrà esserci ancora tra 10 anni.

Quanti ristoranti avete in Italia e dove fare le prossime aperture?

In Italia abbiamo 70 ristoranti concentrati nelle grandi città e nei centri commerciali e continueremo così anche in futuro. Non andremo in città minori dove hanno già aperto altri operatori. L’obiettivo è inaugurare 20 punti vendita all’anno nel nostro Paese e a breve apriremo a Firenze, dove c’è un ottimo mix di turisti, universitari e giovani.

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