Stellantis dice addio alla Cina, verso il fallimento l’accordo Fca-Gac
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Auto Mar 01 novembre 2022

Stellantis dice addio alla Cina, verso il fallimento l’accordo Fca-Gac

La joint venture Gac- Fca che produceva e distribuiva vari modelli di Jeep in Cina, dichiarerà fallimento, Stellantis lascerà il Paese. Stellantis dice addio alla Cina, verso il fallimento l’accordo Fca-Gac
Nino Sunseri
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Nino Sunseri

Giornalista economico finanziario da oltre 50 anni, ha cominciato nel 1974 al Giornale di Sicilia. Ha lavorato rivestendo ruoli di caposervizio e inviato per il Corriere della Sera, La Repubblica e Libero.

Stellantis e la Cina

A gennaio era stato annunciato il piano di rilancio. Ora è stato comunicato che la joint venture Gac- Fca che produceva e distribuiva vari modelli di Jeep in Cina , dichiarerà fallimento. Nella buona sostanza vuol dire che Stellantis, terzo produttore mondiale di auto lascerà il Paese. L’accordo, infatti, rappresentava un’importante testa di ponte per il gruppo italo-francese. Anzi era stata per molti versi uno dei fattori che aveva portato al matrimonio considerando la scarsa presenza di Peugeot in Cina. Gli azionisti della joint venture, Guangzhou Automobile Group, controllata dal governo di Pechino, e Stellantis hanno, approvato «una delibera che, in un contesto in perdite, consente alla joint venture di presentare istanza per essere ammessa alla procedura fallimentare».

Svalutazione

Stellantis ha già integralmente svalutato la sua partecipazione e le altre attività correlate nei risultati finanziari del primo semestre di quest’anno (297 milioni di euro) e ha assicurato che «continuerà a prestare servizi di qualità ai clienti attuali e futuri del marchio Jeep in Cina». Alla fine del sogno cinese, probabilmente, non è estraneo il rallentamento dell’economia di Pechino. L’indice Pmi del settore manifatturiero è sceso a 49,2 da 50,1 in settembre, contro attese di quota 50 che rappresenta il confine tra crescita e recessione. La lettura ha aumentato le preoccupazioni per il rallentamento dell’attività economica Wuhan e Chengdu, hanno recentemente reintrodotto le restrizioni per il coronavirus. Lo yuan scende dello 0,3% nei confronti del dollaro, complice Pechino che ha ribadito il suo impegno nella rigorosa politica di zero Covid.

L’accordo per la joint venture italo-cinese risale al 6 luglio 2009, fu firmato alla presenza del presidente cinese, Hu Jintao, e dell’allora presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi. I lavori per lo stabilimento di assemblaggio iniziarono a Changsha il 26 novembre del 2009 e l’inaugurazione avvenne il 28 giugno 2012, con Sergio Marchionne.

Mancata espansione

Subito dopo era stata annunciata l’espansione dell’accordo per la produzione di modelli Jeep a Guangzhou. Ma lo scorso anno l’impianto è stato dismesso e la produzione è stata trasferita nella fabbrica a Changsha. Lo stabilimento, però, non ha mai viaggiato a ritmi soddisfacenti tanto che la partnership negli ultimi anni è sempre stata in perdita.

L’epilogo quest’anno. A gennaio Stellantis ha annunciato un piano per acquisire la quota di maggioranza del 75% della joint venture, segno dello scontento per i rapporti non proprio fluidi con il partner cinese che poi hanno portato al divorzio consensuale: a luglio ha annunciato l’intenzione di chiudere la joint venture con Gac, terminando la produzione di veicoli in Cina per concentrarsi sull’importazione dall’estero.

Per gli analisti di Equita la strategia del gruppo in Cina resta da chiarire; nel business plan presentato a febbraio venne annunciato l’obiettivo di portare il fatturato da 4 miliardi nel 2021 a 20 miliardi nel 2030. Allo stato attuale in Cina, ha ricordato la Sim, Stellantis si concentra sulla distribuzione di veicoli importati col marchio Jeep attraverso un approccio molto leggero , oltre a produrre localmente veicoli con i marchi Dongfeng Peugeot e Dongfeng Citroën attraverso la joint venture Dpca.

Per Bestinver Securities la notizia ha un impatto neutrale sul titolo per il quale mantengono target price tra 26 e 28 euro. Equita ha un rating buy e un target price a 19 euro sull’azione. A margine della rottura dell’accordo Stellantis ha offerto uscite anticipate volontarie a parte dei 13.000 dipendenti negli Stati Uniti. Possono beneficiare dell’offerta i lavoratori dipendenti di età pari o superiore a 55 anni che lavorano presso la casa automobilistica da almeno 10 anni.

Trasformazioni

La casa automobilistica italo-francese ha detto che l’offerta è «parte della trasformazione per diventare un’azienda di mobilità tecnologica sostenibile e leader del mercato dei veicoli a basse emissioni». Il termine per aderire all’offerta è il 5 dicembre.

«A nostro avviso, questa notizia non ha un impatto rilevante. Anche se si dice che la decisione di ridurre la forza lavoro sia legata a un passaggio già programmato ai veicoli elettrici e alle nuove tecnologie, la ristrutturazione potrebbe anche essere funzionale a un rallentamento della domanda, che non è da escludere anche in considerazione dell’aumento dei tassi negli ultimi mesi», ha commentato Mediobanca Securities (target price a 20,60 euro confermati sul titolo). Il prossimo catalizzatore è rappresentato dalla pubblicazione dei conti del terzo trimestre prevista per giovedì

Inversione di marcia

Gli analisti concordano sul fatto che l’abbandono dell’alleanza con Gac sia il segnale di una netta inversione di tendenza da parte del gruppo guidato da Carlos Tavares. Con l’avvento dell’auto elettrica e il settore automobilistico in grande fermento nella corsa verso una mobilità a zero emissioni tutti sanno che si creeranno nuovi equilibri. Le Case occidentali pensano di trovare terreno fertile in Cina (il più grande mercato al mondo per le vetture a batteria) e avviano piani di conquista.

La realtà, però, è ben diversa. In generale i marchi occidentali stanno facendo fatica ad affermarsi e anzi, oltre a non riuscire a sfondare, si trovano ora tanti costruttori cinesi pronti a battagliare sui propri mercati, Europa in testa. Quella che sembrava un’opportunità, insomma, si sta trasformando in una specie di trappola. Non a caso Carlos Tavares, al Salone di Parigi, dove le Case cinesi si presentano in forze, si è lasciato andare a considerazioni molto critiche. Ribadisce che l’Europa dovrebbe imporre dazi in ingresso pari a quelli che i costruttori europei devono sostenere per vendere in Cina. «Molto semplicemente – dice Tavares – dovremmo chiedere all’Europa di praticare le stesse condizioni alle quali noi siamo costretti per operare in Cina».

Dazi doganali

Se i brand cinesi pagano il 10% per importare auto nel Vecchio Continente, le Case occidentali devono far fronte a tariffe comprese tra il 15% e il 25% per vendere laggiù auto costruite in Europa. Praticando prezzi più accessibili, possono conquistare quote di mercato crescenti del mercato delle auto elettriche (ora, secondo un rapporto di Transport & Enviroment, sono al 5%). «Il mercato europeo è completamente aperto ai cinesi e non sappiamo se la loro strategia sia quella di conquistare quote di mercato pur andando in perdita e di alzare i prezzi in un secondo momento», aggiunge Tavares. Uscire completamente dalla Cina significa che la globalizzazione ha fatto un altro passo indietro. Magari in previsione di nuove battaglie commerciali.

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