Nel mirino dell'Ue anche i tir a diesel e benzina: in Italia oltre 4 milioni di veicoli - V&A
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ApprofondimentiAuto Gio 16 febbraio 2023

Dopo le auto ora nel mirino dell'Ue i tir a diesel e benzina: in Italia oltre 4 milioni di veicoli coinvolti

Non solo lo stop alle auto con motore endotermico: la Commissione Ue ha proposto di introdurre limitazioni anche per i tir Dopo le auto ora nel mirino dell'Ue i tir a diesel e benzina: in Italia oltre 4 milioni di veicoli coinvolti
Maurizio Cattaneo
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Maurizio Cattaneo

Nel mirino dell’Ue tir a benzina e diesel

Non si spengono le polemiche all’indomani della decisione del Parlamento europeo di vietare la vendita di auto diesel e benzina dal 2035. E le critiche investono anche la questione dei Tir. Al voto finale sulla norma pro auto elettrica,  si è aggiunto infatti, lo stesso giorno, un nuovo dossier proposto dalla Commissione europea. Dossier che, di fatto, si muove sulla stessa scia dello stop ai motori tradizionali spostando però  l’accento su altri veicoli, vale a dire autobus e camion. 

Nel dettaglio, la Commissione propone di introdurre gradualmente livelli di emissioni di CO2 più rigorosi per quasi tutti i veicoli pesanti nuovi con emissioni di CO2 certificate. Nello specifico: emissioni ridotte del 45% a partire dal 2030; emissioni ridotte del 65% a partire dal 2035; emissioni ridotte del 90% a partire dal 2040. Per accelerare poi  la diffusione degli autobus a emissioni zero nelle città, la Commissione propone che a partire dal 2030 tutti i nuovi autobus urbani non ne debbano più produrre.

Associazioni di categoria sul piede di guerra

“Siamo di fronte ad un autogol spaventoso per l’economia europea frutto di una ventata ambientalista esasperata ed assurda. Intanto in altre aree del  mondo si continua a fare come gli pare  – attacca Paolo Uggé, presidente della Federazione autotrasportatori italiani (Fai) -. Tutti condividiamo gli sforzi per la difesa dell’ambiente ma bastano pochi numeri per capire che qui si colpisce il bersaglio sbagliato. Secondo i dati europei, le emissioni di Co2 prodotte dal nostro Continente sono pari a circa il 6% di quelle globali, e i mezzi pesanti contribuirebbero per il 25% (di quel 6%). Ma l’importante è dare addosso ai tir. Sempre e comunque”.

“Di fatto il nostro settore copre poco più dell’1% di tutte le emissioni in Italia. Il nostro sforzo è stato, e continua ad essere, notevole. Siamo sulla strada giusta che non è certo quella dell’ultimatum europeo sulla vendita di automezzi diesel e benzina”. “Sa cosa succederà? – aggiunge Uggé -. Che dopo il 2035 ci troveremo con un parco veicoli sempre più vecchio ed inquinante. Tutti coloro che non avranno le possibilità economiche di cambiare modello si terranno quello vecchio e inquinante che, come sappiamo, potrà continuare a circolare”. “Se si vuole davvero lavorare per l’ambiente – spiega il presidente dei trasportatori – bisogna agire in altro modo. Serve, ad esempio, immaginare una politica tariffaria autostradale che premi ancor più i veicoli a basse emissioni. E ancora, si deve agire attraverso incentivi e la leva fiscale. Poi puntare su altre fonti green che non siano per forza l’elettrico, che tra l’altro pone il problema dello smaltimento delle batterie e della produzione di energia elettrica, che guarda caso, si realizza con procedimento altamente inquinante”.

Le possibilità di ribaltare il risultato

Uggè non considera comunque la partita con l’Ue come perduta. “Nel 2024 ci saranno le elezioni europee. Noi fin da domani cominceremo con il denunciare questo tipo di politica miope ed ideologica. Spiegheremo le questioni agli elettori e poi vedremo che scelta faranno nell’urna. Lo stop ai motori termici dimostra quanto certi  partiti, anche di casa nostra, antepongano l’ideologia alle scelte utili all’economia del Paese – prosegue Uggè – È il caso dei vetero-ambientalisti di sinistra e del M5S che, con soddisfazione, annunciano la decisione auto-castrante appena assunta. Tafazzi al confronto è un dilettante. Apprezziamo le prese di posizione del ministro Salvini e di altri esponenti del governo, che hanno pesantemente criticato la scelta fondamentalista compiuta in Europa”. “Non voglio pensare male – conclude Uggé – ma nel caso del passaggio a tappe forzate all’elettrico, siamo di fronte a decisioni che premiano qualche gruppo finanziario e poche nazioni. Ripeto, non voglio pensare male ma alzo le antenne, specie dopo la recente vicenda del Qatargate”.

Fortemente critico è anche Thomas Baumgartner, presidente di Anita e Fercam. “Abbiamo sempre condivisa la necessità di ricambio del nostro  parco mezzi per avere i mezzi tecnologicamente più all’avanguardia in termini di emissioni – afferma Baumgartner. –  Con i motori Euro6 e fra alcuni anni Euro7 sono stati eliminati quasi totalmente le emissioni nocive. Condividiamo anche le nuove richieste di riduzione di emissioni CO2”. “Il traffico di merce contribuisce però solamente con il 5,6% al totale delle emissioni di gas serra  – aggiunge Baumgartner – e quindi è corretto che al nostro settore non venga vietato l’uso del motore endotermico e che un eventuale transizione verso trazioni alternative permetta oltre al motore elettrico Bev e ad idrogeno anche l’uso di carburanti alternativi CO2 neutrali come il biometano, l’Hvo e altri combustibili sintetici. La transizione non deve essere una rivoluzione con feriti e morti ma deve considerare anche le esigenze di competitività della Ue e rimanere tecnogicamente aperta e senza false ideologie”.

Urso: “Tuteliamo la filiera e l’occupazione italiana”

Se a Bruxelles l’Italia marcia divisa con  le  sinistre a favore della stretta sui prodotti petroliferi, il governo italiano si prepara a negoziare per ottenere risultati ben diversi rispetto a quanto accaduto con il dossier auto, negoziato dal governo Draghi.

<Sarà nostro impegno tutelare nelle sedi competenti e con i partner europei, gli interessi della filiera automotive e quindi dell’occupazione nel nostro Paese. Fermi i principi di tutela ambientale, è necessario agire senza pregiudizi ideologici e con il massimo senso di responsabilità>: ha spiegato il ministro delle Imprese e del made in Italy, Adolfo Urso. Il parco circolante di autocarri merci in Italia ha superato le 4 milioni e 200 mila unità e <bisogna tutelare chi lavora>.

Il problema dei prezzi

La quasi totalità  sono alimentati a gasolio (91,6%); i veicoli rimanenti sono a benzina (4,6%), a metano (2,2%), a benzina e gas liquido (1,2%), elettrici e ibridi (0,1% ognuno). Posto che il gasolio rimane il tipo di alimentazione più diffusa, le regioni italiane che adottano alimentazioni alternative sono Trentino Alto Adige (0,56%), Toscana (0,32%) ed Emilia Romagna (0,24%) per l’elettrico, mentre per l’ibrido Lombardia (0,27%), Emilia Romagna e Lazio (entrambi al 0,20%). Se si guarda al 2019, nel 2020 si è visto un leggero calo della benzina a favore delle alimentazioni alternative: rientrano in questo fenomeno l’aumento soprattutto dei mezzi ibridi (+209,7%) ed elettrici (+13,5%), seguiti da quelli a benzina e gas liquido (+4,6%) e metano (+2,8%).

Ma poi c’è il problema del prezzo del veicolo. Un Tir di una certa grandezza ha un prezzo a partire dai 100 mila euro. Per uno elettrico occorre sborsare almeno 50 mila euro in più.

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