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AperturaAuto Gio 02 marzo 2023

Stop alla vendita di auto diesel e benzina dal 2035: la partita non è chiusa, cosa può succedere

Basta il "no" di quattro Paesi per bloccare il via libera del Parlamento Ue: Italia, Polonia e Bulgaria allineate, Germania decisiva Stop alla vendita di auto diesel e benzina dal 2035: la partita non è chiusa, cosa può succedere auto
Maurizio Cattaneo
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Maurizio Cattaneo

Stop auto benzina e diesel, partita aperta

L’auto elettrica rischia di mandare fuoristrada Bruxelles. Rimane infatti un solo giorno per trovare un compromesso sulla controversa decisione di vietare la vendita nell’Ue di vetture diesel e benzina dal 2035. La norma, approvata in via definitiva dal Parlamento europeo il 15 febbraio, doveva essere ratificata ieri dagli ambasciatori degli Stati membri. Ma l’incontro è slittato a domani dopo che, a sorpresa, anche il governo tedesco, ha avanzato delle critiche annunciando un veto se non vi fossero stati dei correttivi.

Quattro Stati bastano per fare “minoranza di blocco”

A questo punto la partita può riaprirsi. L’altolà di Berlino arriva infatti dopo l’annuncio del “no” italiano e polacco e l’astensione della Bulgaria. E dunque i numeri per bloccare il provvedimento ci sarebbero. Per i regolamenti Comunitari il Consiglio deve infatti votare a maggioranza qualificata (l’astensione vale come un voto contrario) e devono opporsi al testo almeno quattro Stati: dunque, la posizione tedesca é decisiva.

Mentre proseguono frenetiche le trattative, non é del tutto chiaro se effettivamente si comporrà una cosiddetta “minoranza di blocco” contro la norma green. La Germania infatti minaccia di porre il veto solo se non sarà data la possibilità di permettere alle nuove auto con motore a combustione di circolare dopo il 2035 a patto che siano alimentate con carburanti puliti.  Il probabile compromesso, come chiede Berlino,  che chiede una deroga alla vendita di auto a combustione “pulite” dopo il 2035 rappresenta in ogni caso un duro colpo per la componente più intransigente e ambientalista a Bruxelles (sinistra e verdi), tenuto conto che le vetture legate alla richiesta tedesca sono a combustione tradizionale e rappresentano una  fetta in forte crescita delle immatricolazioni. A differenza dell’elettrico che, in Italia, sta addirittura perdendo quote di mercato.

La posizione italiana

Chiara la posizione italiana riassunta dallo stesso premier Giorgia Meloni.Lo stop ai motori termici dal 2035 – ha detto – non é ragionevole e lo considero profondamente lesivo per il nostro sistema produttivo“. Un comunicato del governo, diffuso in queste ore nell’ambito dell’ incontro informale dei ministri dei Trasporti a Stoccolma (che precede il voto degli ambasciatori) scende comunque in dettaglio sulle richieste di Roma. L’Italia, viene detto, “condivide ed é pienamente impegnata nell’obiettivo di decarbonizzare il settore del trasporto stradale, in quanto la riduzione delle emissioni di Co2, in particolare quelle derivanti dalle autovetture e dai veicoli leggeri, é essenziale per raggiungere gli obiettivi climatici dell’Unione”. Tuttavia riteniamo “che, nel settore del trasporto stradale, la decarbonizzazione debba essere perseguita nel rispetto dei principi di una transizione economicamente sostenibile e socialmente equa verso le emissioni zero e della neutralità tecnologica”.

Nella posizione italiana si sottolinea che il passaggio all’elettrico “richiede cambiamenti significativi nell’intero settore automobilistico che devono essere pianificati e guidati con la dovuta attenzione, al fine di evitare effetti economici, industriali e sociali indesiderati. Le auto con motore termico sono di proprietà di cittadini a basso reddito e rimarranno in circolazione oltre il 2035. Il successo delle auto elettriche dipenderà molto dal modo in cui diventeranno accessibili per questi cittadini”. In ogni caso, viene ribadito da Roma “stabilendo un obiettivo di riduzione delle emissioni del 100% nel 2035 e non prevedendo alcun incentivo per l’uso di carburanti rinnovabili, il regolamento proposto non è in linea con il principio di neutralità tecnologica. Pertanto, l’Italia non può sostenerlo”.

Le condizioni per lo stop

Nella dichiarazione italiana vengono indicate le condizioni che devono essere assicurate per uno stop dal 2035: sviluppo di una catena di valore dei motori e delle batterie elettriche nell’Unione; approvvigionamento sostenibile e diversificato delle materie prime necessarie; adeguate infrastrutture di ricarica e rifornimento; miglioramento della rete elettrica per fronteggiare l’aumento della domanda; adeguamento dell’intero settore automobilistico anche attraverso la fornitura delle competenze necessarie; accettazione da parte del mercato dei nuovi veicoli, che dovrebbero essere disponibili a un prezzo accessibile.

Di qui la necessità che la Commissione europea “adotti iniziative per “sostenere con tutti i mezzi disponibili, legislativi e finanziari, la transizione del settore automobilistico, in particolare delle pmi; monitorare e riferire sui progressi verso una mobilità stradale a zero emissioni, considerando tutti i fattori che contribuiscono a una transizione equa ed efficiente dal punto di vista dei costi, compresa una valutazione delle possibili carenze di finanziamento”. Cosa che secondo l’esecutivo non sta avvenendo.

Gli effetti sull’indotto

La preoccupazione dell’Italia in sostanza è rivolta agli effetti sociali del passaggio all’elettrico soprattutto nel settore dell’indotto: secondo Federmeccanica e sindacati sarebbero a rischio dai 70 ai 200mila  posti di lavoro entro il 2035, 63 mila dei quali entro il 2030. Anche l’amministratore delegato di Stellantis, Tavares, pur puntando alla trasformazione produttiva al 2030, ha recentemente chiesto alla Ue più “pragmatismo” per uscire dal dogma del 2035 e dell’elettrico” altrimenti si “ucciderà  il futuro della mobilità in Europa”.

Con Stellantis, impegnati a far fronte al target europeo, ci sono Jaguar che prevede produzione elettrica totale nel 2025, Opel nel 2028, Volvo nel 2030 e così Ford e Renault mentre  Audi parla del  2033 e  Gm nel 2035. Tuttavia  forti timori sono stati espressi da tutte le case automobilistiche che prevedono negative ricadute industriali, occupazionali e di mercato per questa corsa a tappe forzate verso il green”.  supportino questo obiettivo”.

Un allarme amplificato dai  fornitori: secondo la loro associazione europea Clepa, “un approccio esclusivamente elettrico, con il divieto della tecnologia dei motori a combustione, mette a rischio oltre mezzo milione di posti di lavoro, con il futuro tessuto economico e sociale che dipenderà  in gran parte dal presupposto di una filiera completa di produzione di batterie in Europa”. “Al contrario, uno scenario a tecnologia mista, che combini una rapida elettrificazione con altri combustibili sostenibili a basse emissioni di carbonio – viene detto –  mitigherebbe la perdita di posti di lavoro e renderebbe la trasformazione più gestibile, senza compromettere gli obiettivi climatici”.

Il ritardo con la Cina

Da Clepa emerge la forte preoccupazione sulle catene del valore. Osserva Clepa: “Mentre la trasformazione dell’industria che produce il veicolo e i suoi componenti mantiene un ritmo costante, le catene di approvvigionamento a monte rimangono sottosviluppate. Nonostante i significativi impegni di investimento fino al 2030, solo il 3% degli investimenti necessari negli impianti di batterie (materiali) è stato completato, meno che in Cina e negli Stati Uniti. Sono stati annunciati investimenti significativi nella produzione di chip a livello globale, ma la Ue è ancora in ritardo rispetto a Stati Uniti, Cina e Taiwan”. Insomma un regalo Ue ai cinesi che vede quattro Stati sul piede di guerra.

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