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AperturaBanche Mer 22 marzo 2023

Fintech, l'innovazione passa dall'alleanza con le banche tradizionali

Dalla banca "nativa digitale" ai prodotti innovativi sulle piattaforme degli istituti vecchio stile: come cambia l'innovazione allo sportello Fintech, l'innovazione passa dall'alleanza con le banche tradizionali IL SALONE DEI PAGAMENTIFIERAINNOVAZIONEEVOLUZIONE DEI PAGAMENTIFINTECH DISTRICT
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Alleanze con le banche tradizionali per il futuro del Fintech italiano

Accordi e alleanze. La strada del Fintech italiano passa dalle partnership per affiancare all’offerta dei gruppi bancari “tradizionali” quella di servizi innovativi nati sui canali digitali. Un modello reso possibile dalla evoluzione normativa europea, che ha consentito l’accesso (previo consenso) a terze parti ai dati dei clienti. E che porta spesso con sé l’investimento diretto da parte delle banche tradizionali nel capitale delle startup di servizi finanziari.

Vantaggi per i clienti e per gli istituti

E’ il cosiddetto Open banking, permesso dalla direttiva europea Psd2 che regola i servizi bancari e la loro apertura a terze parti. Secondo una ricerca condotta da Tink a livello europeo su un campione di 380 alti dirigenti di servizi finanziari in 12 paesi, l’Open banking ha il vantaggio di aumentare la sicurezza delle transazioni, diminuirne i costi e limitare le frodi.

Dal lato delle banche, i vantaggi sono evidenti: riduce gli investimenti in innovazione accedendo a una tecnologia in una fase di sviluppo avanzato o già sul mercato. Consente l’accesso a queste tecnologie anche a istituti più piccoli e con meno capacità di investimento in innovazione. E permette una maggiore flessibilità rispetto alle soluzioni sviluppate internamente, con la possibilità di abbandonare con costi limitati quelle offerte che non riscontrano l’interesse della clientela o non raggiungono i risultati previsti.

Portare i clienti sul digitale

Secondo una ricerca di Abi Lab (il centro di ricerca e innovazione dell’Associazione bancaria italiana), per il 90,9% delle banche italiane il budget Ict per il 2023 è in aumento o stabile rispetto al 2022. Per il 68%, la prima voce del budget è il cosiddetto “digital onbording”: ovvero l’identificazione del cliente e la sottoscrizione di prodotti online.

Lo studio, condotto su un campione che rappresenta circa il 73% del settore bancario in termini di dipendenti è stato presentato al Forum Abi Lab 2023, a Milano dal 21 al 23 marzo. Secondo l’analisi di Abi Lab, “ai primi posti delle priorità d’investimento del settore troviamo l’acquisizione digitale dei clienti, a dimostrazione di quanto il contesto di pandemia globale abbia accelerato i cambiamenti nelle abitudini delle persone, nella confidenza con i canali digitali e, più in generale, nei modelli di relazione”.

Sempre secondo la ricerca di Abi Lab, lo sviluppo e il mantenimento delle applicazioni assorbe il 52% dei costi delle divisioni Ict (calcolati come somma di spese correnti più ammortamenti), mentre il 20% è dedicato ai data center e appena il 4% in sicurezza.

Capacità d’innovazione

“Tutto il movimento Fintech – spiega Daniele Loro di Arché Advisory, società di consulenza specializzata nei settori bancario e finanziario – nasce dall’incapacità del sistema bancario di innovarsi”. Ma il modello della banca puramente digitale ha già mostrato i suoi limiti. “Ed è qui che si inseriscono le iniziative che grazie all’Open banking possono essere integrate in modelli tradizionali. A mio avviso, le Fintech che propongono servizi business to business per le banche sono quelle che innoveranno di più. Penso ad esempio al direct lending digitale e all’acquisizione della clientela, ad esempio. Ma anche alle prospettive offerte dall’intelligenza artificiale in alcuni ambiti come la valutazione del merito creditizio”.

Da Hype a Tinaba, fino a Moneyfarm

Casi di successo ce ne sono numerosi. “Penso a Hype, primo caso di piattaforma di open banking”, dice ancora Loro. Nel capitale di Hype sviluppata da Fabrick del gruppo Banca Sella, è presente anche Illimity Bank con il 50%. E ancora, aggiunge Roberto Leuzzi, ad di Arché, “il modello di Tinaba, che riesce a mettere insieme sia servizi di pagamento che investimenti e risparmi, dai conti deposito fino al robot advisor. O la partnership tra Moneyfarm e Poste Italiane”.

Limiti culturali

I limiti del modello Open banking? “Sono soprattutto culturali”, dice ancora Loro. In un settore iperregolato come quello bancario, spesso innovare significa scontrarsi con strutture, richiesti di adempimenti, verifiche e procedure autorizzative che scoraggiano di fatto l’innovazione. C’è poi una certa ritrosia delle banche tradizionali a condividere i dati del cliente, spiega Leuzzi. Che però è la base dell’Open banking. “Le banche tradizionali sono diffidenti verso quei prodotti che ritengono possano far perdere la proprietà del cliente. Ma anche in questo caso si tratta di una ritrosia di carattere puramente culturale”.

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