Banche, La Scala: "Ondata di Npl inevitabile, sistema italiano solido"
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ApprofondimentiBanche Lun 13 febbraio 2023

Banche, La Scala: "Nuova ondata di Npl inevitabile, ma il sistema italiano reggerà"

Giuseppe La Scala - La Scala Società tra Avvocati, uno dei principali player nella gestione degli Npe - è fiducioso sul sistema banche italiano Banche, La Scala: "Nuova ondata di Npl inevitabile, ma il sistema italiano reggerà" Giuseppe La Scala, Senior Partner di La Scala Società tra Avvocati
Alberto Mapelli
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Alberto Mapelli

Una nuova ondata di Npl “è quasi inevitabile” ma per il sistema bancario italiano “non vedo grandi problemi all’orizzonte perché è solido”. Giuseppe La Scala, senior partner di La Scala Società tra Avvocati – la prima società per azioni tra avvocati fra i grandi studi in Italia e uno dei principali player nella gestione degli Npe e nel contenzioso bancario e fallimentare – non è preoccupato. “I conti sono buoni e le banche italiane sono riuscite a cavarsela alla grande in anni difficili”, spiega La Scala.

Lei parla da un osservatorio privilegiato del settore, ma siete arrivati a esserne la realtà di riferimento?

“Siamo partiti nel 1991 come giovani avvocati che hanno considerato gli Npl (non-performing loans) come un prodotto degno e con dignità di processo, mentre allora era un tema poco attraente per i grandi studi. A favorirci è stata anche la nostra provenienza: nessuno di noi aveva alle spalle famiglie con una tradizione legale e questo ci ha reso flessibili, poco “ingessati”. Avevamo anche necessità di distinguerci: la nostra idea vincente è stata prendere in mandato portafogli di crediti deteriorati, con l’obiettivo di renderlo un settore efficiente. Anche i margini ridotti con cui lavoravamo ci hanno aiutato: quando è arrivato il primo choc per le banche e sono partite le prime vere revisioni dei costi siamo stati in grado di resistere e inserirci nelle opportunità di mercato che si sono presentate. Ora siamo un gruppo da più di 30 milioni di fatturato, 26 partner e sette sedi”.

Tra le vostre particolarità c’è anche l’essere diventati la prima società per azioni tra avvocati. Come mai questa scelta?

“La nostra idea è che, superato un certo volume e arrivati a un determinato livello, sia quasi inevitabile farlo. L’associazione professionale è preferibile per realtà più piccole e tradizionali. E poi si adatta di più alla nostra natura, non siamo uno studio di avvocati “vecchio stampo”. Oggi noi abbiamo otto società collegate di cui una, UniQLegal, nata nel 2020 che è la prima joint venture sul mercato tra una banca – Unicredit – e due studi legali, il nostro e Advant Nctm. Una cosa unica nel settore, che difficilmente dà vita a collaborazioni tra realtà differenti e che invece abbiamo trovato da subito un’idea vincente. Cerchiamo di essere innovativi sia nella mentalità sia nella materia. Ad esempio, nella nostra squadra ci sono statistici e ingegneri gestionali che ci aiutano a fornire ai nostri clienti qualcosa che va oltre l’assistenza legale, come accurate analisi predittive sugli Npl e i contenziosi basate sui non solo sui precedenti, ma sui trend in evoluzione. Report che possono aiutare le banche a perfezionare le loro strategie”.

Perché ritiene inevitabile un progressivo aumento degli Npl?

“Perché dopo il Covid il sistema, attraverso le banche, giustamente, ha sostenuto le imprese garantendo la liquidità necessaria per resistere e per far ripartire il Paese. Ora è naturale che una parte di quei crediti, concessi magari anche a realtà non così solide, rischino di deteriorarsi. Ma penso che il sistema sarà in grado di assorbire un’ondata di Npl perché i conti, come abbiamo visto in questi giorni, sono generalmente ottimi. La speranza è che i fondi del Pnrr e lo slancio che essi daranno all’economia possano mitigare la portata di questa ondata di Npl. E mi auspico che anche la politica faccia il suo dovere e ricopra un ruolo importante”.

In che modo?

“Ci vorrebbe una forte moral suasion da parte della politica affinché tutti gli attori in causa collaborino per aiutare le imprese in difficoltà e ridurre al minimo le conseguenze negative di una situazione macroeconomica comunque difficile e ancora tra luci e ombre. Dalle banche ai service, dai fondi specializzati nel secondo mercato ai professionisti, servirebbe una grande operazione di sistema per non lasciare che quei crediti Utp (Unlikely To Pay) si trasformino in Npl. Bisogna guidare quelle imprese in difficoltà su un percorso virtuoso. Questo aiuterebbe a mitigare l’impatto del rallentamento dell’economia italiana ed europea sul tessuto imprenditoriale e, di conseguenza, anche sulle banche”.

Il fallimento, insomma, deve essere l’extrema ratio.

“I creditori di fallimento non vogliono più sentire parlare. Se in passato la crisi d’impresa erano considerate un punto di non ritorno, oggi quella di crisi è una situazione che un’azienda che sta sul mercato per 30 o 40 anni vive quasi inevitabilmente e per molte volte durante la sua esistenza . Rispetto al passato è molto più difficile essere imprenditore perché lo scenario economico cambia anche improvvisamente e può mettere rapidamente in pericolo anche aziende all’apparenza solide. Però il sistema ha imparato che la crisi d’impresa si può, anzi, si deve gestire per poi ripartire con gli strumenti giusti e le correzioni necessarie. Con ovvi vantaggi anche per i creditori”.

Per far crescere il sistema imprese italiano è necessario anche attirare capitali dall’estero. Due dei fattori di cui si parla più spesso come disincentivi agli investimenti in Italia sono la giustizia lenta e la burocrazia. Avete visto miglioramenti?

“Credo che le cose stiano cambiando nella giustizia italiana, ci sono dei segnali di un cambio di passo. Ad esempio, l’entrata in vigore del nuovo codice di procedura civile a inizio marzo è sintomo che le riforme per provare a migliorare le cose si stanno facendo. Anche con forzature sulle tempistiche che in passato non sarebbero state fatte. E anche nella pubblica amministrazione, nonostante un atteggiamento spesso refrattario, le cose stanno migliorando. L’Italia è un Paese che ha le risorse per migliorare e, nonostante spesso ci metta di più a partire, una volta innestato il cambiamento poi lo porta a termine velocemente”.

Come gestite il capitale umano in un grande studio come il vostro? Il Covid ha cambiato l’approccio al lavoro?

“Lo studio è a forte prevalenza femminile, tra professionisti e staff (molto qualificato: circa la metà dei dipendenti è laureata) il 65% è composto da donne. In una realtà così non trattare con attenzione e sensibilità temi come maternità, elasticità e smartworking vorrebbe dire autosabotarsi. Lo facciamo da tanti anni. Il Covid ha sicuramente portato a un utilizzo più consapevole del lavoro da casa. È ovvio che la vicinanza con i colleghi nella nostra professione sia un fattore di crescita indispensabile, soprattutto per i più giovani. Ma lo smartworking è uno strumento che, utilizzato con intelligenza, consente alle persone di vivere e lavorare meglio. E allo studio di essere più efficiente”.

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