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BanchePrimo piano Mar 07 febbraio 2023

Mps, la partita della cessione si è complicata improvvisamente

Unicredit, Intesa e Banco Bpm prendono le distanze. Per l'ad Lovaglio stipendio dimezzato. Il titolo, salito del 50% da novembre, va giù. Mps, la partita della cessione si è complicata improvvisamente
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Si complica la partita della cessione di Mps

Sembrava che finalmente tutto andasse per il verso giusto per l’uscita dello Stato dal capitale di Monte dei Paschi. Poi in poche ore i principali candidati al matrimonio con Siena hanno fatto la corsa a smarcarsi. A questo si aggiunga che al Tesoro, dopo l’uscita di Alessandro Rivera e la nomina di Riccardo Barbieri come direttore generale, non è ancora chiaro chi gestirà la complessa partita di Siena. E in quali tempi, soprattutto. Infine c’è l’amministratore delegato Luigi Lovaglio, al quale va riconosciuto il merito di aver chiuso un complicato aumento di capitale e aver gestito la grana degli esuberi, come premio si è visto dimezzato lo stipendio.

Le frenate di Intesa, Unicredit e Banco Bpm

In rapida successione, l’amministratore delegato di Intesa Sanpaolo, Carlo Messina, ha dichiarato che la sua banca è “troppo grande” per prendere anche Mps. Quello di Banco Bpm Giuseppe Castagna ha invece detto che è Mps ad essere “troppo grande” per il Banco. Infine, il numero uno di Unicredit Andrea Orcel ha risposto con un sibillino “vedremo in futuro, magari lontano” a chi chiedeva della possibilità di riaprire il dossier senese. D’altra parte Unicredit il dossier Mps lo ha già aperto in tempi recenti. Lo ha analizzato e poi ha lo ha chiuso con un “no, grazie”. 

I conti del 2022

In questo scenario, Mps presenterà l’8 febbraio al mercato i conti dell’esercizio. Secondo gli analisti, Mps dovrebbe chiudere il quarto trimestre con un utile di circa 90 milioni. I conti dell’esercizio saranno appesantiti dagli oneri per l’uscita degli oltre 4 mila dipendenti, costati 925 milioni.  Ma si inizierà a vedere anche l’effetto positivo del rialzo dei tassi. Presto per dire se si tratta di una vera svolta. Ma di certo – anche grazie ai tassi – ci sono le premesse per guardare avanti con meno preoccupazione.

La corsa del titolo

I mercati guardano con attenzione al comparto bancario italiano. E Mps ha guadagnato oltre il 50% dai minimi di inizio novembre, durante il travagliato aumento di capitale. Venerdì scorso ha toccato i 2,45 euro. Lunedì 6, lo scivolone innescato dalle prese di distanza dei tre banchieri può essere interpretato anche come una presa di beneficio.

Il taglio del compenso di Lovaglio

Però c’è l’altra incognita: che farà Lovaglio? La sua riconferma sembrava scontata, ma la manina che ha aggiunto al milleproroghe l’emendamento che tagli i compensi delle partecipate fa un brutto scherzo proprio a Lovaglio. Con la nuova norma, il suo compenso è di 240 mila euro lordi all’anno. Un distanza siderale dagli ad delle banche concorrenti. Troppo pochi per prendersi sulle spalle la più rognosa storia bancaria italiana. Se, oltre a un compratore, il Tesoro dovesse cercare prima un nuovo amministratore delegato sarebbe davvero troppo. 

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