Le fatiche del governo che verrà, cosa gli renderà difficile la vita
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ApprofondimentiCommento Mer 21 settembre 2022

«Le fatiche» del governo che verrà, a rendere la vita difficile guerra e inflazione

«Le fatiche» del governo che verrà. Sarà soprattutto complesso convivere di nuovo con i vincoli del Patto di Stabilità «Le fatiche» del governo che verrà, a rendere la vita difficile guerra e inflazione
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L’analisi sul prossimo governo

Lo sanno tutti, ma repetita iuvant. La guerra in Ucraina, con il rischio reale di un allargamento del conflitto (Armenia, Azerbabajian, Moldavia) e dell’insorgerne di nuovi, in primis tra Cina e Taiwan. L’inverno da affrontare stretti nella morsa della crisi energetica. L’inflazione galoppante, abbinata ad una frettolosa inversione della politica monetaria accomodante che si manifesta proprio quando all’orizzonte si profila una possibile recessione. Tutto ciò senza contare una possibile recrudescenza della pandemia o, peggio, il diffondersi di altre patologie.

É in questo quadro, affollato di rischi al ribasso sulle previsioni macroeconomiche, che si troverà a operare il prossimo governo. Se, come dicono i sondaggi, il 25 settembre uscirà vittoriosa, la coalizione di centro-destra sperimenterà, dopo anni turbolenti ma tutto sommato gestibili, la vera «fatica» di governare. E già, perché ciò che i principali commentatori su stampa e tv non hanno sinora messo abbastanza in evidenza è che gli ultimi due governi – Conte II e Draghi – non hanno mai dovuto confrontarsi davvero e sino in fondo con la «fatica» del governare in un quadro di risorse scarse e di vincoli esterni.

Entrambi i governi hanno infatti potuto attuare politiche economiche, per contrastare gli effetti della pandemia e rilanciare la crescita, usufruendo di 4 fattori favorevoli, unici e irripetibili. Il primo di questi è l’attivazione della clausola di salvaguardia del Patto di stabilità e crescita, che ha consentito il ricorso a scostamenti di bilancio per un maggior indebitamento netto cumulato dell’ordine di oltre 200 miliardi di euro nel triennio 2020-2022, una cifra monstre che ha fatto schizzare in alto deficit e debito senza che fosse attivata alcuna procedura di infrazione.

Il secondo fattore è la politica monetaria espansiva della Bce, che tramite la riedizione in versione antipandemica del programma di acquisti straordinari di titoli di Stato ha messo al riparo il Paese dalle tensioni sul debito sovrano. Il terzo sono le regole temporanee sugli aiuti di Stato, che hanno consentito l’adozione di politiche di sostegno selettive prima d’ora inimmaginabili. Il quarto, infine, sono le risorse aggiuntive europee del programma Next Generation EU, cominciate ad affluire massicce in termini di prestiti e sussidi. Salvo le risorse del PNRR – che occorrerà comunque guadagnarsi portando avanti il piano di investimenti e riforme in un contesto decisamente mutato – tre dei suddetti fattori favorevoli non faciliteranno più la navigazione del governo che uscirà dalle prossime elezioni, tutt’altro.

In autunno entrerà nel vivo la discussione circa la revisione del Patto di stabilità, ma allo stato paiono escludersi modifiche sostanziali che consentano, ancorché in chiave anticongiunturale, la «finanza allegra» cui si è fatto ricorso in questi anni: già ora le raccomandazioni Ue all’Italia impongono il ripristino di una politica di bilancio prudente, indi lo stop categorico ad ulteriori scostamenti di bilancio e soprattutto all’aumento della spesa corrente. Sul versante della politica monetaria, la decisione della Bce sul cosiddetto scudo antispread (Transmission Protection Mechanism – TPI) non è paragonabile ai precedenti programmi di acquisti in termini di impatto e agibilità, atteso che esso prevede delle condizionalità in buona sostanza analoghe a quelle previste per l’attivazione del MES, ovvero non essere soggetti a una procedura per i disavanzi eccessivi, non presentare gravi squilibri macroeconomici, essere in linea con le analisi di sostenibilità del debito della Commissione, del FMI e di altre istituzioni, nonché aver rispettato gli impegni presentati nel PNRR e le raccomandazioni specifiche per paese della Commissione nell’ambito del semestre europeo.

Quanto agli aiuti di Stato, il quadro temporaneo del regime previsto per l’emergenza Covid è ormai in via di archiviazione: sostenere alcune filiere produttive e attuare la nuova politica industriale che serve al Paese nel nuovo quadro geopolitico tornerà ad essere un esercizio normativo molto complicato. Infine, rimarranno i fondi del Dispositivo europeo per la resilienza, ma la concreta attuazione del relativo programma di investimenti è stata oltremodo compromessa in ragione della fiammata inflazionistica, che alterando i piani economici delle imprese, rende più difficile, laddove non impossibile, il buon esito dei bandi delle opere. Tutto molto più complesso quindi per chi verrà dopo Draghi? Senz’altro.

Soltanto l’adeguamento di salari pubblici e pensioni all’inflazione galoppante richiederà ben oltre 20 miliardi euro annui. Il contenimento dei costi dei carburanti e delle bollette ne richiederà ancora di più. Sul versante della finanza pubblica incombe, tra l’altro, il tema della massa gigantesca di garanzie di Stato a prima richiesta rilasciate a pioggia durante l’emergenza Covid per la liquidità delle imprese, che dopo i periodi di preammortamento dei finanziamenti rischiano di essere escusse dalle banche se crisi e fallimenti dovessero accelerare. Tuttavia, come sempre, c’è anche una timida nota positiva. L’inflazione è un dramma per famiglie e imprese, ma è una panacea per i conti pubblici: gonfia in modo inedito il Pil nominale, riducendo il rapporto con debito e disavanzo aprendo così nuovi spazi fiscali, e aumenta le entrate tributarie, specie le imposte indirette, a partire dall’Iva. Nelle pieghe del bilancio c’è dunque un «tesoretto».

Alessio Anelli

Esperto in relazioni internazionali, VEF & Partners SpA Società tra Avvocati

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