Il bonus è un boomerang, l'Agenzia delle Entrate rivuole gli incentivi
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ApprofondimentiCronaca Ven 28 ottobre 2022

Il bonus ricerca è un boomerang, l'Agenzia delle Entrate rivuole gli incentivi

Il bonus ricerca è un boomerang, le Entrate chiedono indietro gli incentivi. Marcozzi: «Lunedì scadono i termini per la restituzione» Il bonus ricerca è un boomerang, l'Agenzia delle Entrate rivuole gli incentivi
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Il bonus ricerca è un boomerang

«Va bene la proroga. Ammesso che arrivi. Ma qui bisogna chiarire definitivamente la questione dei crediti d’imposta per Ricerca & Sviluppo e smetterla con questo modo di fare perché non si può fare impresa in un Paese che ti cambia le carte in tavola da un anno all’altro». É l’appello al nuovo governo di Gabriele Marcozzi, imprenditore marchigiano del food, a tre giorni dalla scadenza per aderire alla restituzione dei bonus stanziati dallo Stato dal 2012 in poi. Marcozzi non è un imprenditore qualsiasi, ma è uno dei due uomini d’affari che hanno avuto il coraggio di aprire un’attività (marchio Strampelli) ad Amatrice all’indomani del sisma che distrusse la cittadina. L’altro è Diego Della Valle.

Ma è esasperato da un braccio di ferro con il Fisco che prende origine dall’aver semplicemente beneficiato di un vantaggio previsto dalla legge. E che poi, a seguito di reinterpretazioni dell’Agenzia delle Entrate, si è trasformato in un incubo portando il conto a suo carico ad oltre 230mila euro, di cui un terzo da versare entro il 16 dicembre. Senza neanche sapere esattamente quale sia la contestazione fatta a suo carico. Nella stessa situazione, come spiega il consulente, specializzato in agevolazioni alle imprese, Patrizio Astolfi, si trovano centinaia di aziende che hanno una sola colpa: aver creduto nello Stato italiano che aveva promesso incentivi automatici per investire in ricerca. E che ora, cambiata l’interpretazione della norma in corso d’opera, si ritrovano accertamenti ex post delle Entrate e contenziosi in corso, oltre alla spada di Damocle delle conseguenze penali per gli importi in detrazione superiori ai 50mila euro. Per capire cosa sia accaduto e in che maniera distorta funzioni il Paese, bisogna fare un passo indietro.

Tutto inizia a fine 2012

Con il decreto Destinazione Italia, mentre c’è il passaggio di consegne dal governo Monti a quello Letta, viene varato un bonus per Ricerca e innovazione con cui è possibile avere un credito d’imposta del 25% per una spesa minima da 30mila euro in ricerca e per un importo massimo da 5 milioni l’anno. Si tratta di un bonus per incentivare imprese ad investire in innovazione. Tutto bene quindi. Se non fosse che il governo stanzia 3 miliardi. E che però, a conti fatti, la cifra non riesce a coprire le adesioni con un costo per le casse pubbliche che supera la somma di 8 miliardi. I conti non tornano insomma.

Intanto la legge viene modificata più volte e interpretata quando però ormai le imprese hanno già beneficiato del bonus. In particolare, il pomo della discordia diviene la definizione di innovazione. In assenza di chiarimenti, i commercialisti e gli imprenditori interpretano la norma come innovazione portata nella propria azienda. Ma, a distanza di anni, l’Agenzia delle Entrate fa sapere che le cose non stanno in questi termini. Ma che si deve trattare di una innovazione di cui non si riscontrino eguali in giro per il mondo sulla base del Manuale di Frascati dell’Ocse, tradotto in italiano peraltro solo lo scorso anno. Fra le due interpretazioni ci passa il mare.

Con gli imprenditori che annegano nel mezzo. E i funzionari delle entrate che si assumono anche l’incarico di valutare i parametri tecnici dell’innovazione prodotta. Per giustificare il beneficio fiscale, non basta nemmeno aver ottenuto un brevetto, come nel caso del pastificio Marcozzi di Campofilone (22 dipendenti, oltre 2 milioni di fatturato, ndr). O confrontarsi con il mercato statunitense. Bisogna provare al Fisco che l’innovazione è unica al mondo. Paesi emergenti, inclusi. Una missione impossibile per aziende che subiscono accertamenti e sono intimate a restituire (entro lunedì 31 ottobre) il bonus fiscale percepito. Risultato: il contenzioso sale vertiginosamente. Assieme alla rabbia delle imprese, soprattutto quelle marchigiane: «su 26 sentenze di cui l’80% a sfavore delle aziende, ben la metà è nelle Marche» precisa Ricolfi. Qualcosa insomma non quadra nemmeno su questo fronte.

L’ultima spiaggia

«Toccherà arrivare in Cassazione per avere delle certezze» conclude il consulente. Ma in realtà gli imprenditori confidano nel governo Meloni che, nel suo programma elettorale, ha previsto una riforma dell’Agenzia delle Entrate. Nel piano, messo a punto dall’onorevole di Fratelli d’Italia, il tributarista Maurizio Leo, è infatti prevista la fine dell’attività interpretativa dell’Entrate. E il ritorno di questa funzione nelle mani del Tesoro. «Anche perché non è possibile che le Entrate applichino delle loro interpretazioni come se fossero legge» conclude Marcozzi. Che intanto spera in una nuova proroga per la restituzione del bonus. Almeno finché la questione non sarà definitivamente chiarita.

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