Sponda della Chiesa alla Meloni, il reddito di Conte ha fallito
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CronacaPrimo piano Mer 19 ottobre 2022

Sponda della Chiesa alla Meloni, il reddito di Conte ha fallito e va cambiato

Secondo il rapporto della Caritas il reddito di cittadinanza va solo a metà dei bisognosi. E non li porta al lavoro. Assist alla Meloni. Sponda della Chiesa alla Meloni, il reddito di Conte ha fallito e va cambiato
Franco Bechis
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Franco Bechis

La Chiesa alla Meloni

Il volume “L’Anello debole”- rapporto sulla povertà in Italia presentato dalla Caritas e dal cardinale che guida i vescovi italiani, Matteo Maria Zuppi, è un testo utilissimo per le politiche sul welfare del nuovo governo che sarà guidato da Giorgia Meloni. Lo è innanzitutto per capire quell’Italia che senza paragone con altri non raggiunge i minimi livelli di sussistenza. I poveri sono 5,6 milioni di persone, quindi un abitante su dieci in Italia: un problema sociale rappresentato da un vero esercito. Solo il 44% di loro percepisce il reddito di cittadinanza. Un dato che senza furori o pregiudizi spiega l’urgenza di mettere mano a quel provvedimento varato dal governo di Giuseppe Conte nel 2018 che però con tutta evidenza non sta funzionando.

Perché non funziona

Non funziona come misura ponte per l’inserimento nel mondo del lavoro, perché è chiaro che non è mai esistita salvo che nei proclami grillini la gamba delle politiche attive. Ma se non riesce a raggiungere nemmeno un povero su due, è evidente che fa acqua da tutte le parti anche la misura di contrasto della povertà. Bisogna guardare in faccia la realtà senza gli occhiali deformanti dell’ideologia: se il reddito di cittadinanza non raggiunge manco la metà dei veri poveri, è perché invece finisce almeno per una fetta consistente dei suoi percettori nelle tasche di finti poveri, che in fondo in fondo altro non sono che furbetti. La Caritas lo dice soft nel suo rapporto: «Il Reddito di Cittadinanza (RdC), attivo ormai da più di tre anni, richiede modifiche per migliorarne funzionamento ed efficacia…».

E individua pure un difetto chiaro dello strumento sull’altro aspetto di cui si lamentano le imprese: «Operatori e volontari hanno raccontato che talvolta il reddito di cittadinanza rischia di essere vissuto come un mero supporto assistenzialista e scoraggia l’attività̀ lavorativa. D’altro canto, i salari previsti dai contratti di lavoro non ammontano a somme tanto differenti». Una frase che è la fotografia precisa del male: il Rdc dissuade dall’ingresso nel mondo del lavoro, che però per essere più attrattivo soprattutto in certi settori non può offrire salari di poco superiori all’assegno di assistenza.

Il reddito di cittadinanza

Ora è chiaro che se il 56% dei poveri non è raggiunto dalla misura che invece spetterebbe loro, è perché quell’assegno mensile finisce in gran parte nelle sacche del lavoro nero italiano. Lo si vede bene pure dalla suddivisione geografica: il reddito di cittadinanza non segue la povertà vera, ma quella che risulta al censimento dei redditi degli italiani, che può essere però falsissima perché composta dalla manovalanza del lavoro nero e del lavoro criminale. Lo testimoniano centinaia di inchieste della magistratura e di operazioni della Guardia di finanza, che però non possono fare altro che sollevare il velo sulla punta dell’iceberg. Ho sentito più volte ripetere dai difensori del reddito che non può venirne un giudizio sulla bontà dello strumento dal fatto che qualcuno fa il furbetto e se ne approfitta.

Non era così anche per i falsi invalidi? No, non era così. Perché fregare sul Rdc è semplicissimo e per andare a inseguire i furbetti servirebbe un esercito che non abbiamo. Esistessero quelle truppe non avremmo manco più il problema dell’evasione fiscale. Fingersi falso invalido è quanto meno più faticoso: bisogna condurre almeno un pizzico della propria vita sociale recitando quella inesistente menomazione. E poi un falso invalido frega la fiscalità generale, un falso percettore del reddito di cittadinanza lo toglie a chi povero è davvero e non ha gli strumenti per avere quel sussidio. E questo è assai più criminale e odioso.

Non c’è dubbio che il nuovo governo non debba perdere altro tempo e riscrivere quel reddito di cittadinanza che fa acqua da tutte le parti e produce più ingiustizia sociale di prima, con buona pace di Conte e del M5s. Però bisogna anche mettere qualche altro paletto. Capisco il cardinale Zuppi quando sostiene che non può bastare l’intervento dei volontari della Caritas per assistere poco meno di 3 milioni di cittadini al di sotto della soglia di povertà. Di questo dovrebbe farsene sicuramente carico lo Stato italiano, mirando meglio l’obiettivo dei suoi strumenti di sostegno in testa proprio il reddito di cittadinanza.

Il caso migranti

Quando però poi leggo nel rapporto che fra i poveri che loro fotografano il 55% è con la cittadinanza straniera, la maggiore parte dei quali africana, una riflessione tocca anche alla Chiesa italiana: un’immigrazione indiscriminata e non controllata provoca proprio questo corto circuito, diventando un boomerang. Fuggono dalla miseria nel loro paese, magari compromettendo il destino di intere famiglie indebitate per pagare i trafficanti di uomini che li portano in Italia a cifre per loro paurosamente alte. E sprofondano nella miseria più nera nel paese in cui approdano. Dire bisogna accoglierli senza se e senza ma allarga questa miseria invece che ridurla.

Poi certo uno Stato deve fare la sua parte: un immigrato regolare che poi perde il lavoro ottenuto e non sa come mettere insieme il pranzo con la cena deve essere ricompreso fra i beneficiari del welfare italiano anche se non sono passati ancora i 10 anni necessari a ottenere la cittadinanza. Un profugo che ha diritto a essere accolto va sostenuto in tutto e per tutto: aiutato a trovare un lavoro e una casa dove abitare. Non stiamo impegnando risorse per questo nemmeno con gli ucraini, spesso dimenticati e depositati in qualche centro di accoglienza o lasciati al buon cuore dei privati dopo avere dato fiato alle trombe per il loro arrivo.

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