Da Tim a Ita e Mps, le partite a rischio se cade il governo Draghi
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Primo piano/Cronaca
CronacaPrimo piano Ven 15 luglio 2022

Da Tim a Ita e Mps, le partite a rischio se cade il governo Draghi

Tim, Ita ed Mps: le partite in bilico se cade il governo Draghi. La ricostruzione che circola tra chi segue uno dei dossier più delicati. Da Tim a Ita e Mps, le partite a rischio se cade il governo Draghi
Tobia De Stefano
di 
Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Le conseguenze della fine del governo Draghi

«Se cade il governo Draghi, anche la posizione di Dario Scannapieco, ad di Cassa Depositi e Prestiti fortemente voluto dal premier, diventa molto più debole, e voglio vedere Cdp presentare un’offerta per la rete Tim con un nuovo esecutivo. Al di là del problema sulle valutazioni (Vivendi vorrebbe 31 miliardi, Cdp che dovrebbe acquistare la cosiddetta NetCo attraverso Open Fiber non sembra andare oltre i 20) non ci sarebbero più i presupposti politici per arrivare alla rete unica. Insomma Labriola (ad di Tim) dovrebbe riporre definitivamente nel cassetto il piano “A” e concentrarsi su quello “B”, tornerebbero in auge i fondi».

La ricostruzione che circola tra chi segue ormai da mesi uno dei dossier più delicati per il futuri infrastrutturale del Paese è evidentemente condivisa da trader e fondi di investimento che ieri hanno venduto a man bassa il titolo Telecom che è precipitato a 0,234 perdendo un altro 6,40%. Se pensiamo che solo fino a pochi mesi fa il fondo Kkr metteva sul piatto 0,505 euro ad azione vien da riflettere.

Tim

Certo da allora ne è passata di acqua sotto i ponti e il progetto di separazione del gruppo in quattro (Netco, Tim Enterprise, Tim Consumer e Tim Brasil) sicuramente dà nuove prospettive a Tim, ma senza Draghi tutto diventerebbe terribilmente più incerto e difficile.

E non c’è solo Tim. L’altra grande partita, Draghi, il ministro del Tesoro Daniele Franco e il direttore generale di via Via XX Settembre Alessandro Rivera la stanno giocando sul Monte dei Paschi di Siena, dove il Tesoro è il primo azionista con il 64% e il maggior garante dell’ennesima operazione di ristrutturazione. Rivera ha voluto il cambio di ad, da Guido Bastianini, vicino ai Cinque Stelle, a Luigi Lovaglio. E lo stesso Rivera tiene le fila con l’Europa per il via libera che deve arrivare da DgComp, la direzione generale della Concorrenza. Senza il disco verde non può partire l’ennesimo aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro che dovrebbe – stando alle parole del nuovo ad, ex Creval, segnare una svolta per il futuro della più antica banca del mondo. Svolta che ci si auspica arrivi in tempi brevi, visto che il titolo macina minimi su minimi e ieri ha perso un altro 7%, a 0,456. Con una capitalizzazione di 460 milioni di euro.

Monte dei Paschi

Inutile nasconderselo. Mario Draghi è il vero garante di tutta l’operazione con Bruxelles. La proroga dei termini per l’uscita dello Stato dall’istituto di credito toscano – proroga che non stata accordata – è nelle mani dell’ex banchiere di Francoforte e un suo eventuale addio a Palazzo Chigi complicherebbe tutta l’operazione.

La vendita di Ita

Quindi c’è Ita, dove a giorni si aspetta il verdetto del Tesoro sulla gara per l’assegnazione della compagnia nata dalle spoglie di Alitalia. Restano in corsa Msc Group, insieme a Lufthansa, e il fondo americano di private equity Certares, in alleanza commerciale con Air France e Delta.

Il governo – il Mef ha il 100% di Ita – avrebbe voluto che la gara fosse già chiusa, ma non è così. Msc è favoritissima, ma al momento nessuno se la sente di escludere un rilancio di Certares, che poi vorrebbe dire Air France. Le sorti della compagnia aerea sono quelle più definite, dove probabilmente l’addio di Draghi farebbe meno “danni”, ma quando si parla di Alitalia guai a sottovalutare il peso della politica. Certo, in tutte queste partite la palla è nelle mani dei tecnici che comunque hanno gli strumenti per portare avanti la linea e le indicazioni già decise dal governo Draghi. Il punto è che sono tutte partite con una fortissima connotazione politica, dove il peso e la credibilità di Draghi sia con Bruxelles che che sui mercati internazionali sono fondamentali. Via lui e il futuro di questi tre dossier diventerebbe, se possibile, ancora più incerto, di quanto non lo sia in questo momento.

Condividi articolo