Il rincaro delle materie prime è già costato all’Italia 80 miliardi in più
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ApprofondimentiCronaca Lun 21 novembre 2022

Il rincaro delle materie prime è già costato all’Italia 80 miliardi in più

Il rincaro delle materie prime necessarie l’Italia per la sua economia quest’anno è costato 80 miliardi di euro in più. Il rincaro delle materie prime è già costato all’Italia 80 miliardi in più
Redazione Verità&Affari
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Il rincaro delle materie prime per l’Italia

Per importare le materie prime necessarie alla sua economia, l’Italia quest’anno pagherà 80 miliardi di euro in più rispetto a quanto faceva prima della pandemia e della guerra in Ucraina. La stima, basata sui dati della Banca Mondiale, è dell’ufficio studi della Cgia di Mestre.

In effetti, calcola l’associazione degli artigiani di Mestre, negli ultimi tre anni i prezzi dei metalli e dei minerali (alluminio, minerale di ferro, rame, piombo, stagno, nickel e zinco) sono rincarati mediamente del 25,7 per cento, mentre quelli dell’energia (petrolio, gas e carbone) nello stesso periodo sono addirittura raddoppiati (+101,3 per cento).

Seppur con curve non esattamente sovrapponibili, l’indice dei prezzi di questi due gruppi di commodity, che era rimasto sostanzialmente stabile nel 2019, è andato bruscamente calando nei primi mesi dopo lo scoppio della pandemia (come si ricorderà, ci furono giorni in cui il prezzo del petrolio scese sotto lo zero: per venderlo bisognava pagare gli acquirenti…), per poi riprendersi già dalla seconda metà del 2020, continuare a crescere nel 2021, e infine impennarsi con lo scoppio della guerra in Ucraina nel febbraio di quest’anno.

I due gruppi

Negli ultimi tempi il trend ascendente si è finalmente arrestato, ma tutte le quotazioni rimangono a livelli ancora molto elevati (soprattutto per quanto riguarda il comparto dell’energia). Limitatamente a quest’ultimo settore, gli aumenti più consistenti hanno ovviamente riguardato il prezzo del gas, in particolare dopo la decisione dell’Europa di rinunciare (sia pure in modo graduale) alle forniture del suo primo venditore, cioè la Russia. Il picco è stato raggiunto lo scorso agosto, con il gas scambiato sul listino di Amsterdam a 350 euro a megawattora (in questi giorni siamo poco sopra i 100 euro).

Risultato: a ottobre il prezzo del metano alla borsa olandese era più alto del 671,6 per cento rispetto a quello che si registrava nell’ottobre del 2019. L’aumento del prezzo del carbone, sempre nello stesso periodo, è stato invece del 463,3 per cento. Il petrolio è infine cresciuto del 57,7 per cento. Più contenuti, invece, sono stati i rincari registrati dal rame (+32,9 per cento), dall’alluminio (+30,7 per cento), dal nickel (+29,3 per cento), dallo zinco (+21 per cento), dallo stagno (+16,8 per cento), dal ferro (+4,6 per cento). Il confronto è sempre tra ottobre 2022 e ottobre 2019. Solo il piombo ha subito una diminuzione del prezzo (dell’8,4 per cento).

Le due curve

Come si diceva, gli andamenti dei prezzi dei due gruppi non coincidono. Sostanzialmente stabili nel 2019, crollano entrambi (ma più marcatamente quello degli energetici) nei primi mesi del 2020, a causa della riduzione delle attività economiche provocata dai vari lockdown. Con i primi segnali di ripresa della domanda, l’indice dei prezzi tende a risalire. E per il comparto energetico gli aumenti diventano vertiginosi dopo l’invasione russa dell’Ucraina.

Infine, la frenata. Prima per minerali e metalli, i cui prezzi non salgono più dallo scorso aprile e ora, seppur notevolmente più alti del pre Covid, sono comunque più bassi di quelli che si registravano nel 2010. I prezzi dell’energia invece interrompono la loro fase a scendente a settembre e in attesa dell’incognita-inverno sono ancora, come si diceva, il doppio di quelli del 2019.

L’influenza dei noli

La Cgia sottolinea come «ad aver sicuramente spinto all’insù i prezzi delle materie prime ha concorso anche il costo dei noli marittimi dei container che sebbene nell’ultimo anno abbia subito una contrazione media del 68 per cento, rispetto all’avvento della pandemia è cresciuto del 170 per cento».

Del resto, il commercio mondiale passa per il 90 per cento attraverso le rotte marittime. E un ruolo determinante nel trasporto container è giocato dai paesi dell’estremo oriente. La Cina da sola, con 14 porti nella top 20 dei porti mondiali, controlla oltre il 54 per cento della quota di mercato internazionale.

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