I marchi italiani fanno gola, i fondi americani pronti allo shopping
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CronacaPrimo piano Sab 03 settembre 2022

I marchi italiani ora fanno gola, i fondi americani si preparano allo shopping

Stanno aumentando le esplorazioni da parte di fondi di private equity e società di investimento statunitensi per comprare marchi italiani. I marchi italiani ora fanno gola, i fondi americani si preparano allo shopping
Carlo Cambi
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Carlo Cambi

I marchi italiani nelle mira Usa

Solo sensazioni, ma ci sono motivi per metterle su carta e derivarne riflessioni: stanno aumentando le esplorazioni da parte di fondi di private equity e società di investimento statunitensi per comprare marchi italiani. Alcune di queste, evidenziate dalle cronache, si stanno attualizzando e ciò fa aumentare l’attenzione sul fenomeno.

È prudente, però, avvertire che tale sensazione dello scrivente potrebbe essere un abbaglio o, semplicemente, un fenomeno temporaneo. Tuttavia, la sensazione è corroborata sia dall’evidenza di maggiori attenzioni verso l’Eurozona con moneta debolissima contro dollaro sia da conversazioni fatte dallo scrivente – che opera in un un fondo di investimento italiano/lussemburghese – con alcuni esploratori americani. Molti asset italiani sono considerati ad alto potenziale e a sconto, amplificato da un mercato dei capitali striminzito e da un sistema finanziario bancocentrico e non investment-led, quindi con poca capacità sistemica di sviluppare finanziariamente le eccellenze italiane.

La borsa spinta in mani francesi

Per inciso, parte del mondo finanziario internazionale ha annotato negativamente che un ministro dell’Economia (piddino) abbia concesso l’acquisizione di Borsa italiana al gruppo franco-olandese Euronext nonostante il maggior vantaggio nello stimolare un consorzio di banche italiane a prendere la maggioranza o nell’almeno accettare l’offerta della Borsa svizzera che usa un modello di grande autonomia delle sue partecipate. In sintesi, l’Italia viene percepita come un’opportunità a sconto entro un sistema nazionale finanziariamente e (geo)politicamente compresso e debole.

Chi scrive ha colto l’occasione di queste conversazioni per sondare le opinioni al riguardo della viabilità di investimenti in Italia, storicamente valutati rischiosi per norme anticapitalistiche, barriere burocratiche, sistema giudiziario ambiguo, tassazione abnorme, ecc. Da un lato, questi fattori di ostacolo sono presenti nelle analisi degli esploratori. Dall’altro, inducono attenzioni selettive, ma non un blocco delle attenzioni stesse.

Per esempio, l’Italia è piena di marchi internazionalizzabili che non sono stati spinti abbastanza per motivi di sottocapitalizzazione: il potenziale di internazionalizzazione fa pesare meno i costi e le difficoltà di un investimento su asset italiani residenti. Poi ci sono eccellenze tecnologiche mondiali. Un interlocutore ha confidato allo scrivente: «Sottoscriveremmo volentieri alcune Ipo italiane sul Nasdaq, ma stiamo pensando che sarebbe più remunerativo investire prima in fase di start up (matura) localmente perché i capitali italiani di rischio appaiono sottodimensionati per reggere lo sviluppo di una buona idea». E cita un paio di unicorni creati nel passato da un incubatore di Padova, ed un altro italiano che potrebbe diventare tale ora in trasferimento verso il Nasdaq, che poi hanno dovuto migrare in America per trovare migliore sviluppo, esempio di decine di altre opportunità.

Metti un dollaro, ne guadagni 5 o 10

In sintesi, il sistema industriale italiano ha una quantità di aziende sia giovani sia mature caratterizzabili come “salvadanaio magico” (ci metti un dollaro e poi ne guadagni 5 o 10) non necessariamente maggiore di altre nazioni, ma caratterizzata dall’incapacità del capitale locale di finanziarne lo sviluppo. Gli esploratori sono spaventati dal debito pubblico italiano? Non sembra lo siano al punto da rinunciare a valutare le opportunità: l’Italia è considerata – dai fondi professionali – una potenza industriale di primo livello, solo malgovernata da sempre e compressa dalla diarchia franco/tedesca. Caso mai c’è un timore di stop geopolitico ad investimenti di capitale americano in Italia su tecnologie sensibili che Francia e Germania vorrebbero dominare.

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