Generali, Sironi cerca tutti i modi per non nominare Cirinà
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ApprofondimentiCronaca Sab 09 luglio 2022

Generali, Sironi cerca tutti i modi per non nominare Cirinà

Il neo presidente delle Generali, Andrea Sironi, ha trasformato la sostituzione di un consigliere di amministrazione dimissionario. Generali, Sironi cerca tutti i modi per non nominare Cirinà
Fosca Bincher
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Fosca Bincher

La successione a Caltagirone in Generali

Lui cerca la Titina, la cerca e non la trova. Da due mesi il neo presidente delle Assicurazioni Generali, Andrea Sironi, ha trasformato la semplice sostituzione di un consigliere di amministrazione dimissionario in una commedia di sicuro grottesca, ma assai meno tragica della celebre canzone di Gabriella Ferri («La vò cercando tutto il giorno/ L’annunzio ho messo suòl giornal…»). Se uno dei più grandi gruppi finanziari e assicurativi non solo di Italia, ma d’Europa, riesce a impantanarsi in questo modo sulla cooptazione del consigliere di amministrazione che deve subentrare all’ingegnere Francesco Gaetano Caltagirone, certo il suo biglietto da visita ne resta sgualcito e anche peggio. Da due mesi si sta girando intorno allo stesso problema: bisogna cooptare in cda un esponente della lista di minoranza che ha perduto lo scontro con quella del cda nell’assemblea 2022.

Bisogna, perché lo statuto della società dice che i consiglieri debbono essere 13, e l’organo amministrativo non può restare zoppo. Lo statuto ha norme chiare, ma fin dall’inizio viene interpretato in modo soggettivo. Le norme dicono ad esempio che si deve seguire la composizione di genere. Se si dimette un maschio, deve subentrare il primo uomo non eletto. Se si dimette una femmina, tocca alla prima donna esclusa. Ora non ci sono dubbi sul genere del dimissionario Caltagirone. Ma il presidente della società ha interpretato a modo suo le regole: le donne rendono più bello il consiglio, quindi al posto del dimissionario prendiamo la prima delle escluse, Roberta Neri.

Il rifiuto di Roberta Neri

La signora però ha rifiutato e lo stallo è continuato. Perché anche il primo escluso dei signori, quel Claudio Costamagna che era candidato alla presidenza delle Generali, ha detto il suo cortese «No, grazie» a Sironi, non essendo interessato a fare il semplice consigliere anche per l’impegno richiesto in conflitto con altre attività che ha. Gira che ti rigira, cerca che ti ricerca, alla fine la Titina ha un nome solo: quello di Luciano Cirinà, che Caltagirone aveva candidato ad amministratore delegato dell’azienda in caso di vittoria della lista. Solo che quel nome non vuole nemmeno sentirlo pronunciare l’attuale capo azienda delle Generali, Philippe Donnet, che Cirinà ha licenziato proprio all’inizio della battaglia fra i due schieramenti. Il clima è quello che è, ma se si vuole mettere fine a una guerra bisogna sempre mettere da parte le simpatie e le antipatie, e ancora più gli odi.

Bisogna scomodare una guerra vera come quella in Ucraina, assai più sanguinosa di quella fatta di carta a Trieste: nonostante odi, insulti, antipatie, battaglie cruente di ogni natura, c’è qualcuno che pensa di potere arrivare a un tavolo della pace senza avere di fronte Vladimir Putin? Per quanto possa essere stato sanguigno e ficcante nella battaglia, certo Cirinà non è Putin e non si capisce tanta avversione mostrata nei suoi confronti (e nei confronti di chi nella compagnia ha lavorato più strettamente con lui e ora non se la passa proprio benissimo).

La posizione di Mediobanca

Il primo a sostenere la necessità della pace in Generali in questo momento è l’amministratore delegato di Mediobanca, Alberto Nagel. Ma è evidente anche a un bimbo come questa non sia possibile se non si depongono le armi puntate su Cirinà. Leggi e regole assicurano i poteri della maggioranza e i diritti della minoranza. Ma non fa parte di questo corpus il potere o diritto della maggioranza di scegliersi chi debba essere a rappresentare la minoranza. E lo sa bene anche Sironi, che altrimenti avrebbe potuto chiudere la partita in una settimana senza esporre la società a questa telenovela. Sarebbe grottesco se Mario Draghi, capo della maggioranza nel Parlamento italiano, volesse decidere lui la guida della sola forza di opposizione esistente, quella di Fratelli di Italia, escludendone Giorgia Meloni per antipatia personale (e non è così in quel caso). L’esempio regge anche in Generali, dove la sola appendice di questa lunga e defatigante ricerca della Titina non potrà che essere quella dei tribunali dove pioveranno cause così insidiose da potere avere un effetto terremoto (se accolte) sulla guida stessa del consiglio della società. 

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