Marzotto, Veronesi e Bonomi: chi investe nel food dopo Farinetti
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ApprofondimentiCronaca Ven 23 settembre 2022

Marzotto, Veronesi e Bonomi, ecco i nuovi profeti dell’italian food

Marzotto, Veronesi e il colosso Bonomi: ecco i nuovi profeti dell’italian food dopo la vendita di Eataly da parte di Farinetti. Marzotto, Veronesi e Bonomi, ecco i nuovi profeti dell’italian food
Carlo Cambi
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Carlo Cambi

Il settore del food italiano

Quando uno gode di ottima stampa, meglio se di sinistra, anche di fronte a un sostanziale fallimento di business e di strategia viene innalzato agli altari della cronaca economica. Per Eataly chi ha comprato non ha riconosciuto neppure il valore dell’avviamento. Però si legge che Andrea Bonomi, a capo di Investindustrial, «affianca Oscar Farinetti e la famiglia nello sviluppo internazionale di Eataly».

Lo affianca così tanto che Nicola Farinetti, il figlio prediletto di Natale detto Oscar, passa ad altri (chi ancora non è dato sapere) il bastone del comando come amministratore delegato. Basta fare due conti per sapere che l’impero da tre miliardi vagheggiato da Natale Farinetti nel 2017 quando pensava di andare in Borsa – non ha mai raggiunto volumi sufficienti di fatturato e di redditività per poter essere appetibile per gli investitori – viene valutato se va bene 600 milioni. Esattamente il fatturato previsto per quest’anno.

L’avviamento

Vuol dire che l’avviamento, il brand in se valgono poco. E ancor meno vale il progetto quello che ha guadagnato a Natale Farinetti elogi e peana al punto che qualcuno lo voleva ministro dell’agricoltura quando era intimo di Matteo Renzi salvo poi rompere i rapporti per guardare con simpatia ai grillini. Su un (presunto) gourmet le stelle hanno sempre il loro fascino. Ma il flop dei flop nella strategia farinettiana è Fico, il parco della salamella a Bologna. Non ha mai reso un euro, ne ha fatti rimettere 8 milioni e c’è voluto già un aumento di capitale da 5 milioni. In Fico hanno versato quattrini fondi pensione e Coop e hanno offerto condizioni vantaggiose e supporti diversi enti pubblici. Oscar-Natale con i sindaci ha sempre avuto un buon rapporto.

A partire dal 2004 debutto di Eataly a Torino. Farinetti voleva l’affitto dei capannoni ex Carpano dove ha aperto il suo primo supermercato per 99 anni, Sergio Chiamparino chiuse a 60 dicendo «Non esageruma nen». Invece deve aver esagerato perché da quel che si capisce i Farinetti saranno costretti a rinunciare del tutto a Eataly o a marginalizzarsi. L’acquisizione da parte di Bonomi prevede ora l’aumento di capitale per 200 milioni che lo fa salire al 52%, poi l’acquisto di altre quote dai soci di minoranza, ma Giovanni Tamburi – forse il vero artefice della cessione a Bonomi che lui stesso ha detto essere stata concordata a New York – ha già detto che ora con Investindustrial il suo 20% se lo tiene e forse aumenta la partecipazione. Può comprare dai Filangeri o dai Farinetti che di sicuro hanno già perso l’Oscar.

Chi investe nel food italiano

Il punto più interessante però è capire – oscurata l’albagia di Natale – se i molti che lo avevano visto come il profeta salamella, l’uomo capace di lanciare il made in Italy del tortello hanno un altro orizzonte a cui guardare. Ci sono molti giocatori attorno a questo appetitoso (e appetibile) tableau del Monopoli cacio e pepe. Giuseppe Caprotti – figlio del fondatore di Esselunga, di professione analista di marketing – già nel 2016 sosteneva: «Eataly assomiglia sempre di più a un supermercato, l’introduzione delle grandi marche cambia la mission e la commistione tra grande distribuzione e ristorazione oltre a rendere difficile la gestione ha in se forti rischi: Eataly può funzionare, ma solo all’estero». Andrea Bonomi infatti entra e pensa a sviluppare la rete americana e in estremo oriente. Eataly cambierà pelle appena i Farinetti usciranno di scena. Farà tesoro del fatto che in Italia chi si occupa di valorizzazione del cibo lo fa con una visione settoriale.

I più forti sono i Marzotto. Niccolò partendo da Santa Margherita, una delle cantine di maggior peso in Italia, e mettendo in sinergia Zignago ha lanciato Vyta la catena di panetterie, ristorazione gourmet di lusso nelle Stazioni. Un business consistente sul quale Nicolò ha concentrato tutte le forze visto che Ratail Gruop, la capofila che gestisce anche un fondo d’investimento, si è liberata di altri settori per concentrarsi su questo business. Sempre un Marzotto, Leone partendo dall’acquisizione ormai datata di Peck il salotto gourmand di Milano sta pensando di sviluppare una catena (limitata) di gastronomie di altissimo profilo.

Calzedonia

Chi spinge forte sull’acceleratore è Sandro Veronesi. Il patron di Calzedonia e di molto d’altro (2,5 miliardi di fatturato oltre 30 mila occupati) sta facendo di Signorvino, la catena di enoteche con cucina con fortissimo sviluppo sul web, un brand mondiale. Affidato a Federico, il figlio di Sandro, Signorvino oggi è anche vigna. Hanno comprato nel Lazio, in Sardegna, nel Trentodoc. A dimostrazione che grande distribuzione e ristorazione non sono sinonimi e spesso confliggono c’è la felice avventura di Umberto Montano.

È partito con Mercato Centrale a Torino ora sta anche a Firenze, Milano e Roma. L’idea? Riunire in un unico spazio gli artigiani del gusto che raccontano in proprio l’eccellenza dei nostri prodotti. Senza pensare che lo storytelling è tutto e che puoi vendere a prezzi maggiorati ciò che normalmente si trova in un supermercato. Forse vale la regola Chiamparino: «Esageruma nen!».

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