Col nuovo Codice degli appalti il patrimonio artistico è a rischio
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CronacaDa non perdere Ven 25 novembre 2022

Col nuovo Codice degli appalti il nostro patrimonio artistico è a rischio

Col nuovo Codice degli appalti il nostro patrimonio artistico è a rischio: «La libertà di subappalto premia il prezzo più basso» Col nuovo Codice degli appalti il nostro patrimonio artistico è a rischio
Maurizio Cattaneo
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Maurizio Cattaneo

Il nuovo Codice appalti

È come se per il restauro del Cenacolo, del Colosseo o della Reggia di Venaria fosse stata scelta l’azienda che proponeva il prezzo più basso, mettendo in secondo piano competenze, tecnologie specifiche, ricerca storico artistica. Oppure si appaltasse una infrastruttura pensando prima al risparmio che ad un progetto con una seria verifica geostatica e archeologica dei terreni (viene in mente un treno ad Alta velocità che sfreccia sopra gli scavi di Pompei…).

Una eventualità, quella della corsa al ribasso per opere di straordinaria importanza civile e culturale che dovrebbe far sorridere, tanto appare bislacca. E invece è proprio quello che sta per accadere nel nostro Paese, che pur vantando il 70% del patrimonio artistico mondiale non sembra saper distinguere tra una impresa edile e una azienda specializzata in delicati interventi specialistici.

Il nodo sta nel nuovo Codice degli appalti che è appena giunto al Consiglio del ministri e sta per essere sottoposto alle Commissioni di Camera e Senato per il via libera finale. Un testo che prevede una serie di novità, a cominciare dalla libertà di subappalto, che alla fine vanno proprio nel senso di dare i lavori a chi fa i prezzi più stracciati.

«Siamo molto preoccupati – conferma Carla Tomasi, presidente di Finco, l’associazione che raggruppa le imprese specialistiche nell’ambito delle costruzioni – perché tutto è stato fatto senza tener conto delle nostre valutazioni. Il subappalto senza limiti genererà una pericolosa corsa al ribasso ed a farne le spese sarà la qualità degli interventi. Ma a perderci alla fine saranno tutti».

Cosa intende?

«Se lo spartiacque per vincere una gara sarà il prezzo meno alto, quasi tutte le aziende serie, che per anni hanno investito in formazione del personale, ricerca e innovazione tecnologica avranno vita difficile. E questo perché l’appaltatore che vince una gara grazie al prezzo più basso, dovrà poi necessariamente rivalersi su tutti i subappaltatori».

Prima non accadeva?

«No, perché da un lato c’era una percentuale massima dei lavori in subappalto e dall’altro una differenziazione delle regole in base agli interventi più o meno specialistici. Se non ci saranno ripensamenti perderanno tutti: l’opera, i cittadini e anche lo Stato, che sarà alle prese con la crisi di decine di piccole imprese specializzate».

Ma perché si è deciso di cambiare una legge in senso peggiorativo?

«La prima ragione è per venire incontro all’Europa. In verità l’Ue sposa la libertà di subappalto, ma per lavori sopra i 5 milioni di euro. E dunque per opere complesse dove il controllo è maggiore ed i soggetti in campo sono, prevedibilmente, strutturati. Diverso è il caso del del sotto soglia, che riguarda la maggior parte degli appalti».

Che potrebbe succedere?

«Tutto l’appalto si basa sul progetto iniziale. Se è fatto bene, ok. Ma nel nuovo Codice si è pure deciso di ridurre il progetto su due livelli anziché tre. E’ stato eliminato quello intermedio, come pure le indagini preliminari. Il tutto in un Paese dove le Stazioni appaltanti tra Stato, ministri, Comuni, Regioni, enti sono 33mila».

E dunque?

«Queste 33mila Stazioni appaltanti, per molte ragioni – come la carenza di fondi, i pensionamenti, il dimagrimento di personale – sono carenti di tecnici. Ma proprio a loro spetta il controllo sull’iter dei lavori. E sempre loro gestiranno i fondi del Pnrr. Le ripeto, siamo molto preoccupati. Ma c’è di più e parlo dei contratti di lavoro. Prima però faccio una premessa. Il mio curriculum parla chiaro. Non faccio politica e non ho appartenenza politica. La nostra Federazione è apolitica. Detto questo siamo rimasti molto delusi dal governo precedente ed è chiaro che il nuovo codice degli appalti è pensato sulla scorta di quanto chiedono Ance e sindacati».

Ci spieghi.

«Sarà la Stazione appaltante a stabilire quale contratto nazionale di lavoro si dovrà applicare, nell’ambito di un appalto. La trovo una decisione scandalosa. E non mi si venga a dire che la regola è stata pensata per tutelare la sicurezza. Stiamo parlando infatti di aziende serie, che lavorano con tutte le carte in regola da ogni punto di vista. Aziende che hanno proprie peculiarità di lavoro e dunque debbono stabilire loro stesse il contratto, che spesso è pure migliorativo rispetto a quello nazionale. Invece si propende per la rigidità del contratto Ance gestito dai sindacati. Ma è chiaro che la gestione dei contratti rappresenta un grande bacino di voti».

Ance, sindacati, con certe lobby in campo, come sperate di cambiare la legge?

«Noi speriamo nel buonsenso. La nostra non è una guerra contro Ance o sindacati. Stiamo semplicemente cercando di far capire a tutti che c’è il rischio concreto di fare enormi danni al patrimonio artistico e culturale del Paese. Prendiamo la Reggia di Venaria: pensiamo a quale delicato intervento necessita per salvare i marmorini, le dorature, gli stucchi e finanche ai giardini, al verde. Solo per quest’ultimo va fatta una ricerca precisa delle sementi. Se vince il prezzo più basso chi ci dice che nei giardini reali non venga piantata cicoria?».

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