I risparmi in Bankitalia poco sicuri, condannata la cassa interna
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CronacaPrimo piano Lun 29 agosto 2022

I risparmi in Bankitalia poco sicuri, condannata la cassa interna dei dipendenti

I risparmi in Bankitalia poco sicuri, condannata la cassa interna dei dipendenti. L’arbitrato dà ragione al 50% a un correntista. I risparmi in Bankitalia poco sicuri, condannata la cassa interna dei dipendenti
Franco Bechis
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Franco Bechis

La vicenda di Bankitalia

L’Arbitro bancario e finanziario (ABF) ha dato parzialmente ragione (e non lo fa quasi mai) a uno dei correntisti della Cassa di Sovvenzioni e Risparmio fra il Personale della Banca d’Italia (in sigla CSR) che era stato truffato nella primavera scorsa insieme a tanti suoi colleghi da chi era riuscito con un trucco a intrufolarsi nel suo conto corrente. La vicenda è stata svelata nel suo primo numero il 5 aprile scorso da Verità & Affari (“Clamoroso: un hacker viola i conti di Bankitalia”), provocando dallo stesso istituto di via Nazionale pelosi distinguo fra la CSR e l’istituto di via Nazionale al cui interno funziona.

L’ufficio stampa di Ignazio Visco ci tenne a precisare che «La Banca d’Italia e la CSR sono due entità distinte, sia dal punto di vista giuridico che da quello delle infrastrutture informatiche». Non così distinte fisicamente, visto che CSR è sostanzialmente la banca interna alla Banca di Italia e lì hanno i conti correnti i dipendenti e i pensionati della banca centrale. Gli hacker o truffatori come si preferisce chiamarli, avevano clonato il centralino di via Nazionale e telefonando da quel numero qualificandosi come operatori della sicurezza della banca avevano fatto compiere operazioni hara-kiri a decine di correntisti portando loro via piccole somme di volta in volta.

Nessuna responsabilità

La banca centrale aveva escluso ogni responsabilità del suo servizio sicurezza, dando tutta la responsabilità alla dabbenaggine dei suoi dipendenti che si erano fatti portare via i risparmi. A qualcuno è stato restituito il maltolto attivando la procedura di recall, a molti altri però non è stato restituito un centesimo. Trattandosi di somme non clamorose, al massimo qualche migliaio di euro, la maggiore parte si è messa l’anima in pace dopo qualche mugugno.

Uno di loro però non ha voluto incassare e si è rivolto all’ABF, nonostante l’arbitro sia solito respingere la stragrande maggioranza dei ricorsi dei presunti truffati. E ha avuto fortuna, perché l’arbitro ha sì detto che il correntista un po’ ingenuo era stato, ma anche che non poteva garantire che i sistemi di sicurezza della CSR avevano funzionato a dovere: una falla si era intravista ed era stata sfruttata dai truffatori. Così è arrivato il giudizio salomonico: con ragioni e torti equamente divisi, la CSR è stata condannata a risarcire al correntista la metà della somma portata via.

Sicurezza interna

A darne notizia come accade con la stessa truffa tenuta per settimane sotto silenzio sono stati i sindacati interni della Banca di Italia. Ed è dalla loro corrispondenza che è emersa la tirata di orecchi alla sicurezza interna. Levandosi anche qualche sassolino dalla scarpa, come ha fatto la Falbi: «Sostenevamo che quanto accaduto fosse imputabile alla debolezza dei presidi di sicurezza in essere e chiedevamo, di conseguenza, che la Cassa provvedesse a ristorare i Colleghi di quanto perduto. La Cassa, nonostante l’importo in gioco fosse insignificante per il bilancio, ha perseverato nel sostenere che quanto accaduto fosse esclusivamente ascrivibile alla dabbenaggine dei truffati ‘evidentemente poco avvezzi alle procedure informatiche’ e che il sistema avesse garantito il massimo livello di sicurezza». Invece ora l’ABF «su ricorso di un collega incorso in una delle truffe, si è pronunciato dichiarando che, nell’occasione, si è trattato di un evidente concorso di colpa nella truffa ed ha imposto alla Cassa la restituzione del 50% di quanto perso. Per effetto di tale decisione, adesso tutti i Colleghi che hanno subito un danno per effetto delle truffe informatiche, possono avanzare alla Cassa richiesta di restituzione della indicata parte percentuale senza che la Cassa stessa possa sottrarsi a tale richiesta».

Dopo il primo successo sono arrivati i ricorsi di altri dipendenti truffati che non potranno che avere la stessa soddisfazione del primo. Fa specie che i risarcimenti non siano partiti spontaneamente dalla stessa cassa. Così la Falbi facendo il suo mestiere punta ancora il dito contro: «Resta la questione relativa al sistema informatico, dove è stata dimostrata appieno l’avventatezza (per essere generosi) delle scelte operate dalla Cassa nell’affidamento all’esterno e nella scelta dell’affidatario del sistema informatico e delle connesse misure di sicurezza». Polemiche interne a parte, resta la bruttezza della vicenda taciuta così a lungo: se non è sicuro tenere un conto corrente negli sportelli interni alla banca centrale italiana, davvero tutti i risparmi italiani sono alla portata di più o meno raffinati hacker e piccoli o grandi truffatori.

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