Intel vuole investire in Italia 5 miliardi per una fabbrica di chip
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Digitale Ven 05 agosto 2022

Intel vuole investire in Italia 5 miliardi per una fabbrica di chip

C’è anche l’Italia nei piani di Intel, la multinazionale che ha deciso di investire 88 miliardi di dollari in Europa. Intel vuole investire in Italia 5 miliardi per una fabbrica di chip
Redazione Verità&Affari
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L’investimento di Intel

C’è anche l’Italia nei piani di Intel, la multinazionale americana che ha deciso di investire 88 miliardi di dollari in Europa per rafforzare la propria capacità di produrre semiconduttori, riducendo la dipendenza del vecchio continente dalle forniture asiatiche. Il nostro Paese metterebbe a disposizione dell’azienda fondi pubblici per finanziare fino al 40% l’investimento, che sarebbe inizialmente di 5 miliardi di dollari ma sarebbe destinato a crescere col tempo. Secondo l’agenzia Reuters, il governo Draghi sarebbe da tempo in trattative con Intel. L’intento sarebbe quello di raggiungere un accordo entro la fine di agosto, quindi prima delle elezioni.

Il progetto prevede la costruzione di un impianto di assemblaggio e confezionamento di semiconduttori avanzati. La trattativa sarebbe molto avanzata, al punto che il governo e l’azienda americana avrebbero già selezionato alcuni siti (in Veneto e in Piemonte) dove poter ospitare la fabbrica. Forse il governo ha intenzione di servirsi anche dei fondi europei messi a disposizione a inizio anno dalla Commissione europea con il cosiddetto Chips Act, finalizzato appunto a finanziare impianti innovativi di semiconduttori.

I fondi europei

In totale da Bruxelles sono stati stanziati 15 miliardi di euro da usare entro il 2030, che si aggiungono ai circa 30 miliardi già previsti per il settore da altri piani comunitari come il Next Generation Eu. L’Italia per parte sua ha stanziato 4,15 miliardi di euro, sempre fino al 2030, per attrarre nel proprio territorio i produttori di chip.
La necessità di non dipendere eccessivamente dall’Asia per queste componenti fondamentali per i computer, gli smartphone, le auto elettrice, ma anche sistemi d’arma come missili e jet, ha spinto i governi occidentali a stanziare risorse per attirare aziende, che finora avevano scelto soprattutto la Cina per beneficiare di un costo del lavoro più basso. Il recente Chips and Sciences Act approvato qualche giorno fa dal Congresso americano e che attende solo la firma del presidente Joe Biden per entrare in vigore, ha stanziato ben 52 miliardi di dollari per richiamare nel territorio degli Stati Uniti i produttori dei semiconduttori.

Dipendenza

La legge americana prevede anche un meccanismo per cui chi beneficerà dei fondi pubblici federali sarà obbligato a non trasferire tecnologia nei propri impianti già attivi in Cina. Un modo per mettere colossi del settore come la sudcoreana Samsung Electronics con le spalle al muro, chiedendo loro di scegliere tra Pechino e Washington.
Gli occidentali però non hanno solo il problema del costo del lavoro superiore, ma anche quello di disporre (almeno per il momento) di un minor numero di ingegneri specializzati in questo tipo di produzione, al punto che la taiwanese Taiwan Semiconductor Manufacturing Company (Tsmc), che sta costruendo un impianto in Arizona, si è vista costretta ad inviare 250 ingegneri dagli Stati Uniti a Taiwan per formarli negli stabilimenti locali. I semiconduttori sono al centro del confronto a toni sempre più alti tra Cina e Stati Uniti. Non a caso la speaker della Camera Usa Nancy Pelosi, nel suo recente viaggio a Taiwan, ha incontrato il fondatore e il presidente della Tsmc affrontando il tema di una possibile estensione degli investimenti dell’azienda negli Stati Uniti.

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