Apple, Amazon, Google e Meta: cosa succede ai giganti tech?
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ApprofondimentiDigitale Mer 09 novembre 2022

Apple, Amazon, Google e Meta: cosa succede ai giganti tech?

Nel maremoto di Borsa che ha colpito i big tech, molto è cambiato nella percezione che il mercato ha dei titoli tecnologici. Apple, Amazon, Google e Meta: cosa succede ai giganti tech?
Fabio Pavesi
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Fabio Pavesi

Le azioni dei big tech

Nel maremoto di Borsa che ha colpito i big tech, molto è cambiato nella percezione che il mercato ha dei titoli tecnologici. Se prima della crisi uno poteva valere l’altro, in modo indistinto, tanto salivano a razzo tutti quanti sul listino, oggi quell’assunto è del tutto cambiato. Il mercato ha di fatto operato una sonora selezione darwiniana, fuggendo dai titoli più vulnerabili. E così quello che il mercato chiamava Faang o Famag a seconda delle circostanze riunendo sotto un unico cappello titoli come Facebook (oggi Meta); Google (oggi Alphabet); Amazon, Netflix, Microsoft e Apple, si è in parte dissolto.

Non sono più titoli interscambiabili, buoni per tutte le stagioni. Un segnale chiaro della distinzione è che oggi Apple vale in Borsa come la somma di tre big: Amazon, Google e Meta. Il colosso degli I-Phone e altro capitalizzava a fine seduta di venerdì scorso da solo 2.200 miliardi di dollari. A un soffio dal valore di Borsa di tutti e tre. Amazon dopo lo sconquasso vale solo 928 miliardi. Alphabet (la holding di Google) quota 1.120 miliardi e Meta l’ex Facebook si ferma solo 240 miliardi di market cap. Come si vede siamo arrivati al punto che la Apple vale per tre.

I prezzi in Borsa

Non che il gigante di Cupertino non abbia lasciato sul terreno pezzi del suo valore di Borsa, ma ha perso meno di tutti gli altri protagonisti assoluti della new economy a stelle e strisce. Dai suoi massimi di sempre, toccati come tutti i Big tech sul finire del 2021 con l’azione a quota 180 euro, Apple ha lasciato sul campo il 23% della sua capitalizzazione. Una sonora limatura che però non ha confronti con l’emorragia subita dagli altri big.

Amazon ha dimezzato il suo prezzo di Borsa da inizio dell’anno; Facebook (Meta) ha perso addirittura più del 70% del suo valore precipitando ai valori dell’estate del 2015. E Google (Alphabet) ha visto tagliare il suo valore di più del 40% nel crollo del 2022. Il cambio brusco di rotta della politica monetaria e le nubi sulla recessione in arrivo hanno travolto soprattutto i titoli della tecnologia, quelli che per più di un decennio erano stati protagonisti di uno dei più potenti rally di Borsa della Storia. Pagano, e hanno pagato, le alte valutazioni che avevano ottenuto negli anni dagli investitori in virtù della crescita inarrestabile di ricavi e utili.

L’indice Faang Plus

Quando sali in Borsa sulle promesse di un ciclo infinito di crescita, basta il minimo intoppo il minimo rallentamento dell’attività per crollare. Basti vedere cosa è successo all’indice Faang Plus che raccoglie i dieci titoli più rappresentativi della tecnologia quotati a Wall Street.

Come illustra un’analisi di Websim l’indice ha cumulato un calo complessivo intorno al 44%, nettamente peggiore di quello registrato dai tre indici principali di Wall Street: Dow Jones -11,90%, S&P500 -22%, Nasdaq Composite -33,80%. E hanno perso tutti. Dal peggiore che come si è visto è Facebook con un sonoro -73% ad Amazon; Alphabet. Ma anche produttori di chip come Nvidia; le cinesi Baidu e Alibaba, Netflix e Tesla con crolli tra il 40 e il 50%. A limitare le perdite solo Microsoft con un -36% e soprattutto Apple che può dirsi finora il vero sopravvissuto alla tormenta del Nasdaq.

Cosa c’è dietro questa vera e propria selezione darwiniana? Come sempre i fondamentali di bilancio e le attese sul loro andamento futuro. A essere più colpiti proprio le società più soft del tech. Quelle legate all’advertising e all’e-commerce come appunto Facebook, Google e Amazon che risentiranno di più dei venti di recessione con il calo dei consumi e della pubblicità e che storicamente come Amazon hanno grandi volumi di fatturato ma marginalità strutturalmente più bassa.

I tassi di sviluppo

Anche Apple frenerà la sua corsa nei prossimi anni così come Microsoft. Ma per le aziende della parte più hard della tecnologia, la marginalità operativa resta sempre molto elevata rispetto alla manifattura tradizionale. Per Apple, abituata negli ultimi anni a tassi di crescita dei ricavi a doppia cifra, si prospetta come dal dato di consensus raccolto da S&P Global market intelligence un futuro con tassi di sviluppo del fatturato a una sola cifra percentuale.

Ma la marginalità dovrebbe restare nell’intorno del 30% dei ricavi. E questo aiuta il titolo a difendersi meglio nei contesti di un’economia che si raffredda e di tassi in forte crescita. Certo non si può escludere un nuovo arretramento nei corsi di Borsa, dato che Apple tratta un multiplo, nonostante la correzione di oltre il 20% dai massimi oltre le 20 volte gli utili futuri e oltre 5 volte i suoi ricavi. Valutazioni ancora tirate quindi. Ma la solidità di bilancio e la profittabilità che non sarà seriamente intaccata hanno finora difeso meglio il titolo rispetto agli altri big dell’universo Tech.

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