Vino e birra, il derby delle tasse che agita i produttori italiani
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Economia Mer 09 novembre 2022

Vino e birra, il derby delle tasse che agita i produttori italiani

Vino e birra, il derby delle tasse. Il piano sulle accise divide i produttori. Il neoministro Lollobrigida evoca il modello francese. Vino e birra, il derby delle tasse che agita i produttori italiani
Redazione Verità&Affari
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Le tasse per vino, birra e grappa

Siamo al derby delle accise tra vino, birra e grappa e per il governo sarà un problema serio.
La Coldiretti ha celebrato due giorni fa il Birra day per raccontare il boom del luppolo. I birrifici artigianali sono triplicati in dieci anni (siamo a quota 1085) e l’export di birra made in Italy ha fatto un più 12%. Fiore all’occhiello sono i birrifici agricoli che trasformano l’orzo (le coltivazioni specifiche ormai sono a 3 mila ettari) e il grano autoprodotti.

Anche la coltivazione di luppolo – siamo arrivati a cento ettari da zero – ha ripreso vigore in Italia così come si stanno aprendo nuovi maltifici. Agli italiani la birra piace: siamo a 2 miliardi di litri consumati due terzi prodotti in “casa”. Per il presidente di Coldiretti Ettore Prandini è un ulteriore successo del nostro agroalimentare.

Il vaso di pandora

Tutto bello? Il neoministro dell’agricoltura e della sovranità alimentare Francesco Lollobrigida ha aperto – forse involontariamente – il vaso di Pandora del trattamento fiscale degli alcolici. Sulla birra grava un’accisa particolarmente pesante così come sugli alcolici che invece è zero sul vino. Per i microbirrifici l’accisa è stata dimezzata, ma solo fino al 31 dicembre di quest’anno. Bisogna metterci mano. Lollobrigida ha detto: «Pensiamo di dover ridurre le accise sugli alcolici, il nostro modello potrebbe essere quello francese. Vogliamo mettere le nostre aziende in leale concorrenza con le altre sul piano fiscale».

Il modello francese non va affatto bene ai produttori di alcol e anche di vino. Il primo a contestare è il re del Prosecco Sandro Bottega (anche distillatore di pregio), ha lanciato nel mondo i Prosecco bar e tuona: «La proposta del governo di adottare il modello francese sulle accise lascia perplessi tanto i produttori e il relativo indotto quanto i consumatori. Fa specie che tra i primi passi di un governo che si proponeva di detassare ci sia la proposta di alzare le accise sugli alcolici. La Francia ha infatti storicamente delle imposte più alte, ma al tempo stesso lo stato è più sollecito e organizzato nell’offrire alle imprese non solo agevolazioni fiscali e contributi economici, ma anche dei tempi certi nella gestione delle pratiche burocratiche. In un periodo come questo – sostiene Bottega – aumentare le accise avrebbe come conseguenza una riduzione delle vendite per i produttori di alcolici, con inevitabile riduzione del gettito Iva e rischio per le imprese».

Il confronto

Le parole di Lollobrigida hanno messo in allerta sia Federvini sia Assodistill per due fatti. In Francia si pagano più tasse sugli alcolici (il 232% in più rispetto all’Italia), il sistema di tassazione è legato all’inflazione. Nel gennaio scorso l’ultimo aumento è stato dello 0,2% e ha portato l’accisa sui vini fermi a 3,9 euro all’ettolitro e a 9,2 euro all’ettolitro per i vini frizzanti. La Francia è il terzo mercato estero per il Prosecco e il timore dei produttori è di dover replicare in patria ciò che è successo a Parigi.

Il metodo francese distingue le accise a seconda dei diversi tipi di alcol. Una distinzione che in Italia non c’è per il vino che ha accise azzerate, ma esiste per birra e superalcolici. La birra paga un’accisa di 2,99 euro a ettolitro per grado, mentre gli alcolici pagano 1035,52 euro per ettolitro anidro. Un litro di grappa a 42 gradi paga 4,34 euro al litro. Mentre una birra di gradazione media ha un’accisa sui 18 centesimi al litro. Per lo Stato significa incassare più di un miliardo all’anno.

Il timore di produttori di vino e di alcolici è che la rimodulazione alla francese porti a un inasprimento fiscale con i costi di produzione già fuori controllo (dalle bottiglie che peraltro non si trovano ai trasporti). Un capitolo a parte resta quello dell’Iva in generale su alimenti e bevande. La birra paga il 10% il vino il 10%, ma diventa il 22 se viene non consumato sul posto. Per paradosso se si ordinano a un delivery una bottiglia di vino, una di birra, pane e hamburger si avrà l’Iva al 4% sul pane, 10% sulla carne e 22 % su vino e birra. Serve un’armonizzazione fiscale. Ma non cominciando con gli aumenti.

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