Anpit, la politica dei bonus è costata 162 miliardi in 10 anni
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AperturaEconomia Ven 31 marzo 2023

Anpit-Azienda Italia, la politica dei bonus è costata 162 miliardi in dieci anni

Per Federico Iadicicco (Anpit) le risorse potrebbero essere utilizzate diversamente. Magari per una vera riforma del sistema fiscale Anpit-Azienda Italia, la politica dei bonus è costata 162 miliardi in dieci anni Convegno Anpit
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

La politica dei bonus è cara e non sempre efficace

Parola di Anpit- Azienda Italia, Associazione Nazionale per L’industria e il Terziario. Attraverso il suo centro-studi, Articolo 46, Anpit ha infatti ricostruito la mappa dei bonus introdotti e prorogati da governi diversi negli ultimi dieci anni. Si tratta di ben 162 miliardi che, in forme e modalità diverse, sono andate a dostenere l’economia. La cifra è peraltro conservativa dal momento che non include i bonus edilizi. Tuttavia il risultato non è stato sempre ottimale.

E forse le stesse risorse si potevano utilizzare diversamente finanziando una “profonda riforma del sistema fiscale italiano, di carattere strutturale e permanente” come sostiene il presidente di Anpit, Federico Iadicicco. In che modo?  “Rimodulando, semplificando e razionalizzando tutto il sistema dei tributi: l’imposizione sui redditi delle persone, delle società e delle attività produttive, il costo del lavoro, il costo dei pubblici servizi” come spiega una nota di Anpit che ha organizzato un incontro a Roma proprio per presentare una sua proposta di riforma fiscale.

Federico Iadicicco, presidente Anpit

Un fiume di denaro è arrivato fra il 2013 e il 2022

“Nell’attuale sistema fiscale italiano vi sono molteplici bonus, dai contenuti più diversi. Alcuni dei quali, principalmente gli incentivi. Singolarmente pesano per poche centinaia di milioni di euro all’anno – si legge nello studio di Anpit -. Ma se sommati fra loro formano una grande voce di spesa. Numerosi bonus invece, soprattutto quelli di sostegno al reddito, rivestono un costo plurimiliardario”.

Il bonus Irpef è la voce più sostanziosa

Nel periodo analizzato dall’associazione, la voce ammonta infatti a 85 miliardi. Praticamente quasi la metà dell’intera somma erogata dallo Stato. “Nato nel 2014 e reso strutturale nel 2015 (governo Renzi), mediante il contributo di 80 euro mensili versati al lavoratore dipendente con basso reddito (le soglie sono variate negli anni), è poi diventato di 100 euro nel 2020″ prosegue l’analisi che poi passa in rassegna gli altri principali bonus. 

Nelle tasche delle imprese è andato invece meno della metà (42 miliardi). Denaro che in dieci anni (quindi poco più di 4 milardi l’anno) ha finanziato iniziative come il credito d’imposta 4.0 sui beni strumentali, il credito d’imposta formazione 4.0, il Fondo nuove competenze, il progetto Imprese On, la Nuova Sabatini e altri strumenti minori.

Una cifra non lontana a quella destinata alle imorese è finita in interventi spot che non hanno certo cambiato le sorti dell’economia del Paese né tanto meno delle famiglie italiane. Stiamo parlando di misure che hanno drenato 35 miliardi di risorse pubbliche. Qualche esempio? Si va dal bonus vacanze a quello per le terme, dagli incentivi all’acquisto di bici e monopattini a quello per oò decoder passando al bonus occhiali, ascendosi, infissi, elettrodomestici e chi più ne ha più ne metta. 

I soldi pubblici spesi non hanno però creato maggiore ricchezza per gli italiani

Secondo Anpit, basta guardare i dati per accorgersi che qualcosa non ha funzionato come avrebbe dovuto. Lo dimostrano i tassi di crescita del pil degli ultimi dieci anni. Non solo: nonostante i bonus, la diseguaglianza nel Paese è aumentata. “Osservando invece i dati sulla distribuzione della ricchezza nel Paese (dati Oxfam) si nota che alla fine del primo semestre del 2019 la ricchezza italiana netta ammontava a 9.297 miliardi di euro, in calo dell’1% rispetto al giugno 2018 – spiega l’analisi -. Il 20% più ricco degli italiani deteneva quasi il 70% della ricchezza nazionale, il successivo 20% era titolare del 16,9% del patrimonio nazionale, mentre il 60% più povero possedeva appena il 13,3% della ricchezza del paese”.

La situazione è poi peggiorata con il tempo. “Il 10% più ricco della popolazione italiana (in termini patrimoniali) possiede oggi oltre 6 volte la ricchezza della metà più povera della popolazione. Confrontando il vertice della piramide della ricchezza con i decili più poveri, il risultato è ancora più sconfortante: il patrimonio del 5% più ricco degli italiani (titolare del 41% della ricchezza nazionale netta) è superiore a tutta la ricchezza detenuta dall’80% più povero. La posizione patrimoniale netta dell’1% più ricco (che detiene il 22% della ricchezza nazionale) vale 17 volte la ricchezza detenuta complessivamente dal 20% più povero della popolazione italiana”.

“La nostra analisi ha messo in evidenza come l’ingente serie di bonus introdotti negli ultimi 10 anni avrebbe potuto invece sostenere una profonda riforma strutturale del sistema fiscale italiano. Lo studio non contesta la funzione vantaggiosa che in alcuni casi i Bonus hanno esercitato sulla disponibilità reddituale dei singoli, ma è un fatto evidente che non hanno rappresentato una reale e tangibile occasione di sviluppo e di crescita della ricchezza interna”  ha spiegato Iadicicco.

Per il futuro si può fare di meglio. A partire dal fisco

Per l’associazione di imporenditori è anzi doversoso farlo visto che le risorse sono scarse. “Le misure previste dal governo in materia di semplificazione, rimodulazione e abbattimento della tassazione delle attività produttive, appaiono coerenti con quanto esplicitato a più riprese, già a partire dai primi mesi dell’emergenza pandemica” spiegano da Anpit. Ma sul fisco, Anpit ritiene importanti tre mosse. Innanzitutto una graduale riduzione dell’Irap per le aziende virtuose nella contrattazione collettiva integrativa. Poi il dimezzamento dell’Ires attraverso la detassazione dell’utile reinvestito nell’impresa.

Ed, infine, la riduzione graduale degli scaglioni di aliquote Irpef. Operazione ques’ultima da realizzare in due fasi.  La prima prevede il passaggio strutturale ad un sistema a tre scaglioni, con aliquote concepite in modo da sostenere il potere d’acquisto di individui e famiglie a basso reddito (con un taglio immediato di due punti della prima aliquota) e, sul medio-lungo periodo, portare l’aliquota più alta al 40% del reddito lordo percepito. La seconda è la rimodulazione della tassazione delle persone fisiche sulla base del nucleo familiare

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