Dopo lo stop all'auto elettrica, Meloni ha nel mirino altri dossier dell'Ue
Lo stop di Italia e Germania sul fronte dell'auto elettrica, si riapre la partita anche sul settore degli imballaggi e del packaging.
Il governo e la discussione sull’auto elettrica
Commissione europea nell’angolo dopo il “no” al divieto di vendita delle vetture diesel e benzina dal 2035 di Italia, Germania, Polonia e Bulgaria che hanno di fatto stanno bloccando l’intero progetto dell’auto green. Poche ore dopo l’annuncio del forzato rinvio della votazione prevista per oggi, dal Palazzo comunitario arriva una nota in burocratese da cui trapela tutta l’incertezza per la imprevisto stop ad un provvedimento che i più davano già per approvato.
La portavoce della Commissione Ue ha indicato che “siamo impegnati ad attuare quanto indicato dal considerando il più presto possibile, stiamo discutendo sulle preoccupazioni espresse anche recentemente da parte di stati membri con i quali siamo in contatto. Vogliamo capire meglio, per cui é prematuro dire quale sarà’ la strada scelta”.
Il considerando consiste in una clausola con la quale viene chiesto alla Commissione europea di preparare una relazione entro il 2026 per stabilire se gli e-fuel possono aiutare l’Europa a raggiungere la sua riduzione del 100% di CO2 target per auto e furgoni. Si tratta però di una indicazione non vincolante.
Oltre agli e-fuel ci sono anche i biocarburanti, settore al quale é particolarmente interessata l’Italia, secondo produttore europeo. La portavoce ha aggiunto che la proposta di regolamento si regge sul principio della neutralità tecnologica ed é proprio questo che viene contestato da Italia, Bulgaria e Polonia e Germania.
Il rinvio dell’Ue
Il ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto spiega: “Il nuovo rinvio in sede Ue sulla decisione riguardante lo stop ai motori termici al 2035 tiene giustamente conto di una forte resistenza di alcuni Paesi europei, con l’Italia in prima fila, a un’impostazione del Regolamento troppo ideologica e poco concreta. L’Italia ha una posizione molto chiara: l’elettrico non può essere l’unica soluzione del futuro, tanto più se continuerà, come é oggi, ad essere una filiera per pochi”.
“Puntare inoltre sui carburanti rinnovabili é una soluzione strategica e altrettanti pulita, che consente di raggiungere importanti risultati ambientali evitando pesanti ripercussioni negative in chiave occupazionale e produttiva”, dice ancora Pichetto che conclude: “La decarbonizzazione del settore dei trasporti resta obiettivo prioritario ma deve tenere conto delle peculiarità nazionali e di tempistiche compatibili con lo sviluppo del settore dell’automotive. Ci auguriamo che questa pausa consenta anche ad altri paesi e alle stesse istituzioni europee una ulteriore riflessione su un tema così importante per cittadini e imprese. Quando dico altri percorsi, penso anche all’idrogeno. C’é convinzione da parte nostra che idrogeno possa essere la parte principale per trasporto pesante, treni e su questo l’Italia sta investendo molto”.
Un risultato, quello del rinvio della decisione allo stop alle auto a benzina e diesel dal 2035, di cui è stato protagonista anche il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, che per primo, ancora nel governo Draghi, aveva portato avanti la battaglia.
La discussione del governo
Ma governo Meloni, guarda ora al di là della partita dell’auto elettrica. “Non si tratta solo del Regolamento 2035 ma anche – ha detto il ministro dell’Industria Urso – ad altri dossier sui quali ritiene ideologiche le scelte della Commissione europea: non solo sulla mobilità per forzare la svolta ecologica, ma anche su imballaggi e il settore tessile”. Insomma l’impasse sull’auto rischia di scardinare un sistema di regolamenti da sempre governato a Bruxelles dai partiti di sinistra più legati all’ambientalismo.
Che i governi in sede di Consiglio si trovino di fronte all’ipotesi di bocciatura di un accordo su un testo legislativo concordato con il Parlamento europeo (che l’ha pure votato in via definitiva) e già passato al vaglio preliminare del Coreper (Comitato dei rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri dell’Unione europea) e dei ministri interessati, é evento abbastanza raro. Che può in effetti fare scuola anche in altri settori.
Cosa chiede il fronte del no sull’auto
Nessuno vuole la bocciatura dell’intero pacchetto. I quattro Paesi del “no” chiedono di lasciare la porta aperta alla possibilità di immatricolazione di nuovi auto e furgoni oltre il 2035 a patto che siano alimentati da carburanti sintetici, gli ‘e-fuel’ (carburanti puliti). Indubbiamente è stata la posizione italiana a rafforzare il fronte anti-stop dal 2035, riflettendo le forti preoccupazioni più per il settore dell’indotto (componentistica) che per il settore diretto dell’automobile: sarebbero a rischio secondo le organizzazioni di categoria oltre 200 mila posti di lavoro ( 67 mila entro i prossimi 7 anni). Inoltre c’è la preoccupazione per la dipendenza dalle materie prime: la Cina produce tre quarti delle batterie a livello mondiale. Degli oltre 130 siti produttivi per le batterie al litio esistenti attualmente nel mondo, cento si trovano in Cina. Preoccupazioni avanzate poi anche dalla Germania.
La discussione sull’elettrico
La Germania dal canto suo ha una doppia ragione per il no. Il problema per i tedeschi non riguarda solo l’avanzata del Dragone in Europa ma anche lo stesso mercato cinese dove la casa automobilistica locale Byd sta crescendo a detrimento del ruolo leader della Volkswagen. D’altra parte l’Europa in quanto a produzione di auto elettriche è ormai scesa al terzo posto dopo Cina e Stati Uniti. E se anche le case automobilistiche del Vecchio Continente stanno accelerando nella transizione all’elettrico, il problema degli approvvigionamenti e delle materie prime, dà un formidabile vantaggio competitivo ai cinesi.
Una posizione espressa anche ieri dall‘Acea, l’associazione dei produttori auto europei. “L’industria automobilistica europea é impegnata ad affrontare il cambiamento climatico il più rapidamente possibile, lavorando con tutti i partner. Sta facendo del suo meglio per investire massicciamente nell’elettrificazione, costruire la catena del valore verticale, e mantenere i posti di lavoro”.
Detto questo Acea prende atto che l’apertura tecnologica richiesta sia essenziale per mantenere “l’agibilità necessaria a rispondere a diverse esigenze e ad adattarsi alle mutevoli circostanze”. Una posizione molto cauta da cui traspare che l’obbiettivo del 2035 non debba essere ribaltato ma il passaggio al green va raggiunto con pragmatismo. Quella dell’elettrico è insomma una partita chiave su scala globale. E ciò che scaturirà dai colloqui a Bruxelles prima della nuova votazione sull’auto elettrica sarà cruciale per il destino del settore automotive. E non solo.