I dossier economici che scottano sul tavolo del governo Meloni
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ApprofondimentiEconomia Lun 26 settembre 2022

I dossier economici che scottano sul tavolo del governo Meloni

Sono innumerevoli le sfide e i dossier economici che finiranno sul tavolo del nuovo esecutivo di Giorgia Meloni. I dossier economici che scottano sul tavolo del governo Meloni
Redazione Verità&Affari
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Redazione Verità&Affari

I dossier economici per il governo

Il completamento degli obiettivi del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr), la privatizzazione di Ita Airways, la messa a punto della legge di Bilancio. Ma anche il rilancio dell’ex Ilva di Taranto e l’eventuale creazione di un operatore unico delle reti di telecomunicazione, sulla base del protocollo firmato a maggio da Cdp, Kkr, Macquarie, Tim e Open Fiber. Sono innumerevoli le sfide e i dossier economici che finiranno sul tavolo del nuovo esecutivo, che si troverà a dover prendere le redini del Paese in una congiuntura economica non facile. A cominciare dallo spettro di una revisione al ribasso delle stime sul Pil italiano del 2023.

La nota del Def

Difficilmente, infatti, la Nota di aggiornamento del Def confermerà le previsioni contenute nel Documento di economia e finanza, le quali indicavano una crescita del 2,3 per cento per il prossimo anno. Non appena insediato, il prossimo esecutivo dovrà perciò varare una legge di Bilancio in grado di ridare fiato alle finanze di famiglie e imprese colpite dall’impennata dei prezzi energetici, ma con meno risorse a disposizione di quanto previsto inizialmente. Il testo – che tra l’altro dovrebbe includere diverse spese obbligate, come gli aiuti contro il caro prezzi – dovrà essere licenziato entro la fine dell’anno, ed essere presentato alle Camere già entro il 20 ottobre.

Non meno complicato è il raggiungimento degli obiettivi previsti per quest’anno dal Pnrr, considerato anche il probabile rallentamento dovuto alle tempistiche per la formazione e l’insediamento del nuovo esecutivo. In settimana dovrebbe arrivare il via libera della Commissione europea alla seconda rata dei fondi da 21 miliardi di euro, grazie alla realizzazione dei 45 obiettivi previsti per il primo semestre, già centrati dal governo Draghi. Il nuovo esecutivo non dovrà però perdere tempo e procedere a tappe forzate nell’attuazione dei programmi da realizzare entro il 31 dicembre, per ottenere i restanti fondi per il 2022.

La delega fiscale

È rimasta in sospeso, tra l’altro, l’approvazione della delega fiscale, una delle principali riforme connesse al Pnrr. Il nuovo esecutivo dovrà inoltre risolvere il nodo pensioni, per evitare che a gennaio scatti di nuovo riforma Fornero, e quello della Concorrenza che include lo spinoso capitolo delle concessioni balneari. Inoltre, restano aperti anche diversi dossier finanziari strategici per il Paese, incluso il capitolo Mps che con il via libera dell’Assemblea all’aumento di capitale da 2,5 miliardi di euro entra in una fase delicata.

Uno dei primi nodi da scogliere per il futuro esecutivo sarà senz’altro quello della privatizzazione di Ita Airways. Il governo Draghi ha avviato un negoziato con il fondo statunitense Certares in partnership con Delta e Air France-Klm, preferendolo all’ultimo momento alla cordata formata da Msc e Lufthansa. Fratelli d’Italia ha tuttavia già mostrato perplessità sulla scelta di cedere il controllo della compagnia di bandiera, spiegando che un dossier così strategico dovrebbe essere di competenza del prossimo governo. Procede ancora a rilento, inoltre, il rilancio dell’ex Ilva di Taranto, le cui difficoltà vengono ulteriormente acuite a causa dell’impennata dei prezzi energetici con notevoli ricadute negative anche per l’indotto.

L’acciaieria di Taranto

Una situazione di stallo, anche per via dello slittamento dell’ingresso di Invitalia – che era previsto per lo scorso maggio, sulla base della lettera d’intenti firmata nel 2020 con ArcelorMittal – il quale avrebbe dovuto portare lo Stato a un controllo del 60 per cento. Infine, resta aperto il dossier della rete unica. La firma del protocollo d’intesa non vincolante tra Cdp, Kkr, Macquarie, Tim e Open Fiber sembrava potesse imprimere un’accelerazione alla creazione di un solo operatore delle reti di telecomunicazione, non verticalmente integrato, controllato da Cdp Equity. Ad oggi, tuttavia, non sembrano esserci stati passi avanti nell’integrazione della rete. L’azionista di maggioranza di maggioranza di Tim – la francese Vivendi – valuta infatti la NetCo con gli asset infrastrutturali di rete fissa circa 31 miliardi. Una cifra che, probabilmente, ha rallentato la presentazione di un’offerta, la quale a questo punto dovrebbe arrivare solo dopo la formazione del nuovo governo.

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