Chi scommette sul nucleare italiano e le mani dei grandi gruppi
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EconomiaIn evidenza Lun 13 marzo 2023

Energia, chi scommette sul nucleare italiano e le mani dei grandi gruppi stranieri

Dai francesi di Orano agli americani di General Electrics. Le mani dei gruppi stranieri sul nucleare italiano. Energia, chi scommette sul nucleare italiano e le mani dei grandi gruppi stranieri Centrale nucleare
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Il piano per il nucleare italiano

Un progetto che, nelle idee del governo di Giorgia Meloni, non può prescindere dallo sviluppo dell’energia nucleare. La pensava così anche Silvio Berlusconi quando da premier aveva sostenuto un accordo fra il duo francese Edf -Areva e l’Enel per la realizzazione di reattori nucleari di nuova generazione nel nostro Paese attraverso la società Sviluppo Nucleare Italia. Poi tutto sfumò nel nulla dopo l’incidente di Fukushima.

Leggi anche: Ansaldo, Edison ed EDF per lo sviluppo del nuovo nucleare

E, forse, a giudicare dai tempi e dai costi di realizzazione degli impianti di terza generazione, non fu poi un male così grave. Con la guerra fra Russia e Ucraina, le fiammate nei prezzi dell’energia la questione è tornata di attualità e c’è già chi è pronto a scommettere sul nucleare in Italia. Non senza trarne lauti guadagni sia nella costruzione degli impianti che nella successiva gestione e vendita di energia. 

La tecnologia è oggi concentrata nelle mani di pochi gruppi

Sono meno di una decina le aziende che costruiscono impianti per la produzione di energia nucleare. Fra queste, naturalmente, nessuna è italiana visto che il nostro Paese ha detto addio al nucleare con un referendum nel 1987. In  compenso nel Vecchio continente domina Orano, l’ex Areva, società controllata dallo Stato francese. Questa società sarà anche al centro del piano di rilancio dell’energia nucleare in Francia annunciato lo scorso 10 febbraio dal presidente Emmanuel Macron.

Il progetto prevede la costruzione di  sei reattori nucleari di tipo EPR2 entro il 2050. Orano è da sempre interessata all’Italia che vede come un suo naturale mercato di sbocco. Ma le fanno concorrenza anche le due società statunitensi General Electrics e Westinghouse, oltre alle giapponesi Toshiba e Hitachi. Fino a prima della guerra, Orano era poi in partnership con la russa Rosatom. Ma il conflitto ha cambiato le carte in tavola. 

Ben presto arriveranno impianti di nuova generazione

Oggi sulla terra ci sono 442 reattori nucleari, sparsi in ventinove Paesi. Ben 148 impianti sono in sedici Stati europei. Nell’80% dei casi si tratta di reattori ad acqua pressurizzata, una tecnologia esistente da molti anni con tutte le migliorie sul sistema di sicurezza, classificati come generazione 3+. La tecnologia più avanzata è quella utilizzata da Oreno in bassa Normandia, a Flamanville, che è poi la stessa entrata in funzione in Finlandia. Oggi alcuni Stati puntano ancora su questi tipi di reattori che sono impianti grandi da oltre mille megawatt.

Ma la novità del momento che potrebbe cambiare le carte in tavola è una nuova classe di reattori nucleari con nuove caratteristiche tecnologiche e di business model differenti rispetto a quelle degli impianti in uso. Per superare il tema dei costi elevati e dei tempi lunghi di realizzazione stanno nascendo gli Small modular reactor, che sono reattori piccoli, con potenza fino a 200 megawatt e modulari. Sono cioè costruiti in officina invece che in cantiere e sono quindi realizzati in ambienti controllati e riparati per essere poi assemblati nel sito destinato ad ospitare la centrale.

Finora sono stati costruiti sono la Cina e Russia, ma presto ne arriveranno altri perchè gli Small modular reactot sono decisamente interessanti anche per gli investitori privati visto che il costo è un settimo rispetto a quello di un grande impianto dove però giocano a favore le economie di scala. Non a caso stanno nascendo diverse società che vogliono crescere in questo business come, ad esempio, Newcleo, che ha sede a Londra, ma ha un centro internazionale di sviluppo a Torino e alcune attività a Bologna. 

I costi restano esorbitanti

Per realizzare una struttura come quella di Flamaville sono necessari investimenti decisamente importanti che richiedono di avere alle spalle un’azionista pubblico sia per via dei tempi che dei costi di realizzazione. A questo poi si aggiunge il tema delle autorizzazioni. Per l’impianto di Flamanville, Orano aveva previsto circa 3,3 miliardi di investimenti per realizzare l’impianto in sei anni anni. Ci sono voluti invece più di 15 miliardi e oltre 16 anni di lavoro per concludere il progetto. Esistono però anche dei reattori più piccoli, 

Non solo. Ci sono poi anche altri costi per così dire “nascosti”. Lo testimonia Orano, che fattura circa 4 miliardi e ha costruito i 58 reattori nucleari della Francia. Ha chiuso il 2022 con una perdita netta da 377 milioni, contro un utile da 678 milioni registrato nell’esercizio precedente.

Secondo quanto hanno riferito fonti ufficiali, il rosso in bilancio non è legato, almeno direttamente, al core business del gruppo quanto piuttosto alla “caduta dei mercati finanziari” su alcune posizioni assunte per coprire le uscite future di smantellamento delle vecchie centrali nucleari e di gestione dei rifiuti radioattivi. Tradotto, il costo complessivo delle centrali, smaltimento incluso, è decisamente più elevato di quello sostenuto esclusivamente per lo sviluppo dell’impianto. Chiaramente la cifra è più contenuta per gli Small nuclear reactor. 

Enel è già in partita in Slovacchia

A metà febbraio, Slovenske Elektrarne, di cui è azionista il gruppo Enel assieme allo Stato slovacco, ha acceso il nuovo reattore nucleare della centrale Mochovce in Slovacchia. L’impianto da 471 megawatt riduce il consumo di metano per 640 milioni di metri cubi ed è stato voluto dal governo per ridurre la dipendenza del Paese lungo il percorso di una maggiore indipendenza energetica. L’impianto ad acqua pressurizzata esporterà energia anche in Germania, Paese che ha deciso di uscire dal nucleare e ha dichiarato che chiuderà gli ultimi tre impianti enrro il mese di ottobre.

Inoltre, il gruppo guidato da Francesco Starace ha già una lunga esperienza nel settore attraverso la filiale spagnola Endesa e resta ad oggi l’unica società italiana che gestisce impianti nucleari attraverso le due controllate straniere. Va detto però che nel nostro Paese è anche presente la società che gestisce le centrali nucleari Oltralpe, Edf, controllata dallo stato francese e proprietaria di Edison. C’è poi anche la spagnola Ibredrola che è il maggior produttore di energia nucleare della Penisola iberica. 

Eni punta sulla fusione

Il cane a sei zampre invece ha appena firmato un nuovo accordo di cooperazione tecnologica che intende accelerare l’industrializzazione dell’energia da fusione. L’obiettivo? La realizzazione di un impianto-pilota che vede l’Eni in prima linea accanto allo spin-out dell’Mit Commonwealth Fusion Systems di cui l’azienda italiana è socia con una quota del 19 per cento.

L’obiettivo è decisamente ambizioso: completare a Devens, in Massachusetts, entro il 2025 il progetto sperimentale che per la fusione si basa su una tecnologia a confinamento magnetico. Sparc sarà il prototipo per Arc, la prima centrale elettrica industriale da fusione che potrà essere collegata alla rete e che dovrebbe arrivare nel prossimo decennio e che costerà 800 milioni di dollari.

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