Segno meno sui fondi pensione: cosa conviene fare con il Tfr - V&A
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ApprofondimentiEconomia Mar 31 gennaio 2023

Fondi pensione in rosso: cosa conviene fare con il trattamento di fine rapporto?

Nel 2022 i fondi pensione hanno perso il 10% per l'andamento dei mercati. I pro e i contro degli investimenti nella previdenza complementare Fondi pensione in rosso: cosa conviene fare con il trattamento di fine rapporto? Imagoeconomica
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Annus horribilis per i fondi pensione

Il 2022 è stato un annus horribilis per i fondi pensione. Andamento del mercato azionario e rialzo dei tassi, con conseguente ribasso del corsi dei titoli obbligazionari, hanno pesato e portando i rendimenti dei prodotti della cosiddetta previdenza complementare a subire un brusco calo, anche superiore al 10%. Lo mette nero su bianco la Covip, la Commissione di Vigilanza del settore, che parte dal meno 9,8% dei fondi negoziali ed arriva fino al meno meno 10,7% dei prodotti aperti e al meno 11,5% dei PIP di ramo III.

Si dirà, parliamo di un solo anno e gli strumenti finanziari pensati per investire una fetta della nostra pensione futura vanno “giudicati” sul lungo. Infatti la stessa commissione ha portato correttamente il confronto sui dieci anni evidenziando risultati decisamente diversi. Da inizio inizio 2013 a fine 2022 il rendimento medio annuo composto, al netto dei costi di gestione e della fiscalità, si è attestato al 2,2% per i fondi negoziali, al 2,5% per i fondi aperti, al 2,9% per i PIP di ramo III. Ma nonostante il segno più, la performance resta inferiore o di poco superiore a quella della liquidazione (Tfr) che, nello stesso arco temporale, si è rivalutata del 2,4% annuo.

L’ex commissario Covip

Insomma, per i lavoratori si ripropone l’amletico quesito di sempre: meglio lasciare i soldi del trattamento di fine rapporto in azienda o trasferirli nei fondi pensione? “Inutile nascondere – spiega a Verità&Affari Fabio Ortolani, ex consigliere Covip ed ex presidente di Cometa (metalmeccanici) e Fonchim (i chimici)  – che i risultati del 2022 non sono felici, ma in qualsiasi analisi bisogna ricordare che la previdenza complementare va guardata nel lungo periodo e che la resilienza è una delle sue caratteristiche principali. Già siamo passati in mezzo alle tempeste tipo Lehman Brothers e ne siamo usciti più forti”, continua Ortolani.

“Certo, qualcosa in più per promuovere i fondi si potrebbe e dovrebbe fare. Per anni abbiamo battuto sull’aspetto informativo e sulla necessità per i lavoratori di crearsi un a seconda gamba previdenziale, così come a più riprese mi sono fatto portatore della necessità di legare maggiormente gli investimenti dei fondi all’economia reale. Sarebbe un modo corretto per creare un circolo virtuoso, che parte dall’investimento dei fondi arriva al lavoro e torna quindi ai fondi, di cui avremmo estremamente bisogno”, conclude Ortolani.  

I numeri

Nonostante i rendimenti “non eccezionali”, comunque, a fine 2022 le posizioni aperte erano 10,3 milioni, in crescita di 564.000 unità (+5,8%) rispetto alla fine del 2021. A tali posizioni, che includono anche quelle di coloro che aderiscono contemporaneamente a più forme, corrisponde un totale di 9,2 milioni (+5,4%) di iscritti.  Nei fondi negoziali si registrano 349.000 posizioni in più rispetto alla fine dell’anno precedente (+10,1%), per un totale di 3,806 milioni, beneficiando ancora dell’apporto  delle adesioni contrattuali (200mila) fra cui anche quelle dei neo-assunti del pubblico impiego (80mila in più). Nelle forme pensionistiche di mercato, si rilevano 106.000 posizioni in più nei fondi aperti (arrivate a quota 1,842 milioni) e 84.000 posizioni in più nei PIP “nuovi” (a quota 3,697 milioni).

Gli altri numeri ci dicono che le risorse destinate alle prestazioni erano scese a 205 miliardi di euro alla fine di dicembre 2022 (-3,6%) per effetto delle perdite in conto capitale (-7,7 miliardi) determinate dall’andamento dei mercati finanziari. Nei fondi negoziali, l’attivo netto è di 61 miliardi di euro, nei fondi aperti a 28 miliardi e nei PIP “nuovi” a 45 miliardi. Nel corso del 2022 i contributi incassati da fondi negoziali, fondi aperti e PIP sono stati pari a 13,9 miliardi di euro (+4,2 per cento rispetto al 2021), un incremento che riguarda tutte le forme pensionistiche, variando dal 4,5% per i fondi negoziali, al 7,8% per i fondi aperti fino al 2% per i PIP.

Parlare ai giovani

“Il punto centrale della discussione – spiega Mauro Musi ex funzionario Covip e oggi direttore finanziario della Cassa di previdenza degli infermieri (Enpapi) – riguarda i giovani. Se lei va a vedere l’età media degli iscritti alla previdenza complementare si accorgerà che siamo intorno ai 46-47 anni. La ritrosia dei ragazzi è comprensibile, come non capire le ragioni di chi ti dice “beato chi ci arriva alla pensione”. Con il lavoro così precario e le retribuzioni così basse sono comprensibili anche le difficoltà nel mettere da parte e investire 50 euro per il futuro”.

Come se ne esce? “Con l’informazione, spiegando che possiamo dimenticarci le pensioni pari all’80-90% dell’ultima retribuzione dei nostri padri e che se vogliamo garantirci una vecchiaia serena è necessario finanziare una seconda gamba previdenziale di scorta. E con una spinta normativa. Una spinta simile al silenzio assenso sulla destinazione del trattamento di fine rapporto del 2005. Senza la diffusione di un cultura previdenziale e finanziaria, con il sostegno della componente politica e di quella sindacale, resta difficile garantire ai fondi pensione il necessario salto dimensionale nel numero di iscritti “. 

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