Fondi Pnrr ad alto rischio: «Chi farà i lavori? Non ci sono imprese»
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Economia
Economia Gio 24 novembre 2022

Fondi Pnrr ad alto rischio: «Chi farà i lavori? Non ci sono imprese»

Con il Pnrr ci sono almeno 26 miliardi di opere pubbliche da realizzare. Ma le imprese italiane specializzate sono poche. Fondi Pnrr ad alto rischio: «Chi farà i lavori? Non ci sono imprese» STABILIMENTO BOSCH I LAVORATORI IN PROTESTA STRISCIONE DEI LAVORATORI DELLA BARITECH TANTI SOLDI PER IL PNRR
Fiorina Capozzi
di 
Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

I fondi Pnrr a rischio

Con il Pnrr ci sono almeno 26 miliardi di opere pubbliche da realizzare nel giro di quattro anni. Ma le imprese italiane specializzate in appalti si contano sulle dita di una mano. E, Webuild a parte, sono pure di piccola taglia. Arriveranno i global contractor dall’estero? Enso Papi ne dubita. Presidente di Termomeccanica group, Papi conosce bene il settore degli appalti in Italia. Inclusi i suoi meccanismi distorti.

Per questo, ammonisce: «tutti si stanno preoccupando di semplificare le procedure, ma, in realtà i problemi sono altri. Servono le riforme strutturali di cui si parla da vent’anni, altrimenti le aziende straniere non arriveranno mai».

Risultato: ritardi su ritardi e soldi non spesi per effetto della mancanza nella certezza del diritto. Secondo Papi, infatti, è la lentezza della giustizia ad essere il nocciolo della questione. Se non si risolve quel nodo, difficilmente si riuscirà a far girare i soldi del Pnrr per realizzare le infrastrutture di cui il Paese ha bisogno come il Pane.

Da soli niente opere

«Dopo Tangentopoli, si è ridotta la capacità operative delle imprese di ingegneria civile – osserva l’imprenditore – La gran parte delle imprese del settore presenti al tempo come Cogefar, Impresit, Lodigiani, Girola, Condotte d’acqua, le cooperative rosse, sono scomparse o fuse in blocchi che da dieci fanno uno. Ed erano tutte aziende che lavoravano nel mondo e che avevano dimensioni internazionali. Oggi abbiamo una sola grande impresa che si chiama Webuild, che peraltro è la somma di Cogefar, Impresit, Impregilo, Salini cui poi recentemente si è sommata Astaldi che è fallita. Fattura circa 6 miliardi di euro in giro per il mondo. Ha una struttura finanziaria su cui è intervenuta la Cassa Depositi e Prestiti per far assorbire la Astaldi. Quindi sono strutture finanziarie che hanno certamente i numeri per andare avanti, ma che hanno un equilibrio non particolarmente esuberante».

Lo scenario non è quindi particolarmente effervescente. Anzi. «Dopo Webuild, in termini dimensionali, troviamo Pizzarotti che credo abbia 800 milioni circa di ricavi e la cui solidità finanziaria non mi pare sia tra le più alte – riprende – . Ci sono poi aziende molto specializzate come Trevi che parte di Cdp in un’ottica di salvataggio. Poi scendiamo ad aziende da 400 milioni. Ma allora io mi domando: ma chi li fa 26 miliardi di euro di opere pubbliche programmate nei prossimi tre o quattro anni? Può un’azienda come Toto, Pizzarotti o le cooperative impegnarsi in opere di grandi dimensioni? La sola Ferrovia Salerno-Bari con l’alta velocità costerà 6 o 7miliardi».

Detta in altri termini, stiamo parlando di ordini di grandezza completamente diversi. Per non parlare del fatto che per effettuare i lavori le banche dovranno rilasciare garanzie pari al 10% dell’importo a società dimensionalmente piccole che peraltro non possono subappaltare più del 50% dei lavori».

Stranieri alla finestra

L’unica possibilità viene dall’estero con i global contractor che guardano alla ghiotta opportunità del Pnrr italiano. «Temo però che difficilmente le aziende estere vengano in Italia a fare i lavori» aggiunge. Il motivo? «Non c’è certezza del diritto – aggiunge – Ho recentemente chiuso un contenzioso della mia azienda in primo grado per il quale riceverò 38 milioni a distanza di dieci anni -precisa – Chi vuole che venga ad investire in queste condizioni? É necessaria una riforma del sistema giudiziario». Secondo Papi, basterebbe la sola separazione delle carriere a cambiare le carte in tavola mettendo fine alla politicizzazione della magistratura.

«Quando l’Europa ci chiede di fare le riforme, fa riferimento a questo – riprende l’imprenditore – Non si chiede come mai negli ultimi dieci anni la produttività delle grandi imprese in Italia è scesa del 4,5%, mentre quella delle pmi è aumentata del 6,5%? La riforma della giustizia è la prima cosa da fare per produrre ricchezza. Se il governo di Giorgia Meloni e il ministro Carlo Nordio ci riusciranno, compiranno un’impresa titanica di cui il Paese sarà grato per sempre. E’ inutile rimestare nella palude per uscire dalla palude. Bisogna bonificare». Per Papi, sarà l’inizio di un percorso in cui poi tutti gli stakeholder dovranno fare la loro parte. Inclusa Confindustria, che ormai rappresenta principalmente aziende pubbliche, e i sindacati che hanno perso il contatto con la realtà.

Condividi articolo