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EconomiaIn evidenza Ven 30 dicembre 2022

La Cgia di Mestre suona il campanello d'allarme: "Al Sud si pagano più pensioni che stipendi"

La situazione più critica in Campania. Tutta colpa dell'andamento demografico negativo e dell'assenza di lavoro. A rischio i conti pubblici La Cgia di Mestre suona il campanello d'allarme: "Al Sud si pagano più pensioni che stipendi"
Redazione Verità&Affari
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I pensionati superano i lavoratori

Lo Stato italiano paga 22 milioni e 759 mila assegni pensionistici, 205 mila unità in più rispetto alla platea di lavoratori dipendenti e autonomi che si attestato a quota (22 milioni 554 mila addetti). Lo svela un’indagine della Cgia di Mestre su dati del gennaio 2021. In particolare, secondo l’analisi, il maggior squilibrio fra numero di pensionati e di lavoratori si registra nel Mezzogiorno.

“Se nel Centro-Nord – con le eccezioni di Liguria, Umbria e Marche – i lavoratori attivi, anche se di poco, sono più numerosi delle pensioni erogate dall’Inps e dagli altri istituti previdenziali, nel Sud il sorpasso è già avvenuto: queste ultime, infatti, superano i primi di un milione e 244 mila unità” hanno evidenziato in una nota gli esperti della Cgia. 

Campania maglia nera. Seguono Calabria, Puglia e Sicilia

In termini assoluti le situazioni più “squilibrate” si verificano in Campania (saldo pari a -226 mila), Calabria (-234 mila), Puglia (- 276 mila) e Sicilia (-340 mila). Nel Centro-Nord, invece, solo Marche (- 36 mila), Umbria (- 47 mila) e Liguria (-71 mila) presentano una situazione di criticità. Per contro, tutte le altre sono di segno opposto: le situazioni più “virtuose” – vale a dire dove i lavoratori attivi sono nettamente superiori alle pensioni erogate – si scorgono in Emilia Romagna (+191 mila), Veneto (+291 mila) e Lombardia (+ 658 mila).

A livello provinciale, infine, le situazioni più compromesse che si registrano al Nord riguardano Biella (-14 mila), Savona (- 18 mila) e Genova (-38 mila). Tra le realtà più virtuose, invece, scorgiamo Bergamo (+83 mila), Brescia (+111 mila) e Milano (+299 mila).

Alla base del divario il fatto che gli italiani fanno pochi figli

“Il calo demografico, infatti, ha concorso a ridurre la popolazione in età lavorativa e ad aumentare l’incidenza degli over 65 sulla popolazione complessiva. Si segnala che tra il 2014 e il 2022 la popolazione italiana nella fascia di età più produttiva (25-44 anni) è diminuita di oltre un milione e 360 mila unità (-2,3 per cento)” hanno spiegato dalla Cgia. Ma, secondo gli esperti, il vero problema del Meridione è che non c’è lavoro. Motivo per cui il dato sul rapporto fra beneficiari di assegni pensionistici e lavoratori è più preoccupante rispetto al resto d’Italia. 

Questa situazione rappresenta un rischio per i conti pubblici

“Un Paese che registra una popolazione sempre più anziana potrebbe avere nei prossimi decenni seri problemi a far quadrare i conti pubblici – ha precisato la Cgia – in particolar modo a causa dell’aumento della spesa pensionistica, di quella farmaceutica e di quella legata alle attività di cura/assistenza alla persona”.

Inoltre, come evidenziano gli esperti. con l’invecchiamento della popolazione alcuni settori potrebbero subire contraccolpi. In particolare, gli esperti temono un ridimensionamento del giro d’affari nel mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo. Per non parlare del fatto che le aziende faticano a trovare personale che sia anche adeguatamente formato. Per questo secondo la  Cgia è necessario correre presto ai ripari con delle politiche che riequilibrino l’andamento demografico e incidono di conseguenza anche sul mercato del lavoro e sui conti pubblici. 

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