Miniere, arriva la nuova mappa delle risorse italiane - V&A
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EconomiaIn evidenza Mer 18 gennaio 2023

Miniere, dopo 50 anni in arrivo l'aggiornamento della carta delle risorse italiane

La nuova Carta Mineraria Italiana arriverà agli inizi di febbraio. L'ultima mappatura dei giacimenti risale al 1973 Miniere, dopo 50 anni in arrivo l'aggiornamento della carta delle risorse italiane Miniera d'oro
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

La nuova Carta Mineraria Italiana arriverà agli inizi di febbraio

L’ultima versione risale a mezzo secolo fa. E’ infatti dal 1973 che l’Italia non si occupa più di gestire le sue risorse e solo in tempi recenti ha iniziato a mettere le cose in ordine. Così, subito dopo l’aggiornamento, si procederà ad una valutazione qualitativa dei siti, alla definizione di un testo di legge per i rifiuti estrattivi per arrivare alla identificazione delle aree idonee alle trivellazioni giungendo alla costruzione di una strategia mineraria. E’ questa la tabella di marcia del Tavolo nazionale materie prime critiche, creato sotto il Mise e il Mite con competenze che, sotto il governo di Giorgia Meloni, sono state trasferite al Mase, il ministero dell’ambiente e della sicurezza energetica.

Il ritmo è decisamente veloce. Almeno sulla carta. E non potrebbe essere altrimenti visto il peso che ha assunto la questione materie prime e metalli rari con la Cina che ha conquistato buona parte delle risorse africane e le tensioni geopolitiche, guerra inclusa, che hanno fatto schizzare i prezzi alle stelle.

Il Paese è già in ritardo rispetto ai partner europei

In questo scenario,” l’Italia è l’unico paese europeo che non ha una propria politica di gestione dei giacimenti domestici, delle risorse minerarie solide. Politica che deve essere parte integrante della strategia di approvvigionamento basata sull’economia circolare” ha spiegato Fiorenzo Fumanti. geologo dell’Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca Ambientale (Ispra) in una nota del novembre scorso. 

L’identificazione delle risorse rappresenta naturalmente solo il primo passo perché anche quando si scopre un giacimento, come è avvenuto in Svezia, con il più grande giacimento di terre rare del Vecchi continente, ci vogliono poi più di dieci-quindici anni per poterlo realmente sfruttare. Per non parlare delle difficoltà di gestione dell’opinione pubblica sul territorio. 

Ma l’Italia ha risorse nel suo territorio?

Finora, Ispra, assieme alle Regioni, ha catalogato 3016 siti su un periodo compreso tra il 1870 ed il 2020. I minerali metalliferi sono nelle Alpi, in Toscana, Calabria e Sardegna. Le miniere di zolfo sono invece in Sicilia, Marche e Romagna. La lignite, infine, viene nelle piane alluvionali dell’Italia centrale. Le miniere in produzione sono 75 ma nessuna per minerali metalliferi. Si tratta di cave per marna da cemento (17), salgemma (7) e minerali ad uso industriale (44). 

“Nonostante un importante passato minerario, attualmente l’Italia è totalmente dipendente dai mercati esteri per la fornitura di minerali metalliferi, e si trova in una posizione di retroguardia sul tema delle materie prime critiche – ha riferito Fumanti nel suo studio -. La crisi energetica, la pandemia ed il conflitto in atto hanno mostrato che è necessario diversificare l’approvvigionamento delle materie prime anche utilizzando le risorse domestiche”. Ne ha preso atto il governo di Mario Draghi, ma ora tocca all’esecutivo di Giorgia Meloni passare alla fase operativa verificando la consistenza dei giacimenti.

Sullo sfondo c’è poi il tema green

Se da un lato l’esecutivo punta ad una strategia mineraria, dall’altro non può trascurare il fatto che il programma ambientalista europeo richieda una massiccia utilizzazione di materie prime per trasformare l’economia. “Oggi non c’è una quantità sufficiente di metalli per poter soddisfare le esigenze del piano green di Bruxelles. Anche facendo leva sull’offerta cinese che controlla quasi tutta la filiera” ha spiegato Gianclaudio Torlizzi, fondatore della società di consulenza, T-Commodity, e autore di “Materia rara. Come la pandemia e il green deal hanno stravolto il mercato delle materie prime.

Per Torlizzi, che da tempo sostiene la necessità di aggiornamento della mappa delle risorse, questa situazione espone l’Europa ad un rischio di utilizzo da parte della Cina dei metalli e delle terre rare come arma geostrategica nei nostri confronti mettendo i presupposti per una maggiore dipendenza dell’Europa da Pechino.

“Per quante scoperte di giacimenti potremo fare, e ne faremo perché il territorio italiano ha risorse nel suo sottosuolo, sono necessari sia tempi tecnici per le verifiche e la messa in funzione di una mineraria – ha precisato -. Poi c’è l’aspetto di raffinazione che è il vero collo di bottiglia del settore ed è anche altamente inquinante. E’ la grande contraddizione di tutta la narrativa legata all’ambiente: il processo dell’elettrificazione è un processo che nel suo insieme è altamente inquinante. Poi forse emetterà meno Co2. Ma l’inquinamento non è solo quello. Ci sono anche gli acidi che vengono usati per raffinare un metallo o le energie necessarie ad una raffineria. E poi c’è anche l’aspetto legato al cambio normativo”.

L’appello: “fare fronte comune per rallentare i piani ambientali”

Dal suo punto di vista la situazione è decisamente complessa. Per evitare che le cose peggiorino, “il governo deve spingere in Europa assieme ad altri paesi per svincolarsi da questo ricatto morale sul green per adeguare il progetto alla nuova situazione contingente – ha concluso .-  Spero che dopo la questione della revisione del Pnrr e del Mes, l’esecutivo potrà lavorare ad un fronte comune per riformare le politiche climatiche ed adattarle al nuovo contesto. Quando le politiche green vennero impostate non c’erano problemi sul fronte dell’offerta. E poi con la pandemia il mondo è cambiato. E con la guerra lo scenario è ulteriormente peggiorato. Perseguire gli stessi obiettivi climatici di tre anni fa non solo è velleitario, ma rischia di renderci ancora più dipendenti dalla Cina”. L’esatto contrario di quanto il governo pensa di fare con la mappatura delle risorse. 

 

 

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