I 20 mesi di Draghi una delusione: spread in risalita e Borse a picco
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Economia Sab 22 ottobre 2022

I 20 mesi di Draghi sono una delusione: spread in risalita e Borse a picco

Mario Draghi lascia a Giorgia Meloni un’eredità ben più pesante di quella che aveva ricevuto dai due esecutivi guidati da Giuseppe Conte. I 20 mesi di Draghi sono una delusione: spread in risalita e Borse a picco
Nino Sunseri
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Nino Sunseri

Giornalista economico finanziario da oltre 50 anni, ha cominciato nel 1974 al Giornale di Sicilia. Ha lavorato rivestendo ruoli di caposervizio e inviato per il Corriere della Sera, La Repubblica e Libero.

L’eredità di Draghi a Meloni

Mario Draghi lascia a Giorgia Meloni un’eredità ben più pesante di quella che aveva ricevuto dai due esecutivi guidati da Giuseppe Conte. Lo spread a febbraio dell’anno scorso, all’insediamento dell’ex capo della Bce, era sceso a 90,4 punti. Adesso viaggia stabilmente fra 230 e 240 punti. Vuol dire un peggioramento del 160% circa. Male anche la Borsa. L’indice fatica a tenere 21.500 punti, mentre Conte l’aveva lasciato quasi 2 mila punti più in alto. In termini percentuali vuol dire che, rispetto ad allora, c’è stato un peggioramento del 9%.

Un discorso a parte merita il debito pubblico arrivato a sfiorare il record di 2.800 miliardi. Su questi valori, infatti, occorre essere chiari: in termini assoluti il debito non smetterà di salire. Mese dopo mese sarà in rialzo pur se dovesse tornare l’austerità. Per ridurlo in termini monetari sarebbero necessari tagli sanguinosi che nessun governo reggerebbe sul piano politico. Quello che potrebbe cambiare è il rapporto fra il debito e il Pil. Anche qui il confronto è favorevole a Conte. Il famigerato «governo del cambiamento» a guida giallo-verde, quello che aveva litigato a Bruxelles sul 2,4% di deficit poi ridotto a 2,04% per semplici ragioni di marketing si è rivelato uno degli esecutivi più ordinati della storia recente.

Il rapporto fra debito e Pil non solo non è salito ma è addirittura sceso dal 134,4 al 131,1%. Variazioni da prefisso telefonico che, tuttavia assumono un significato politico altissimo considerate le premesse. Come dimenticare – tanto per fare un esempio – l’annuncio di Di Maio dalla finestra di Palazzo Chigi che la povertà era stata sconfitta? Un merito speciale al ministro Giovanni Tria che ha tenuto saldo il timone del Tesoro. È stato, probabilmente anche per l’intransigenza di quei mesi che non è stato più richiamato al governo né destinato a qualche altro incarico pubblico. È tornato al silenzio dei suoi studi. Nel 2020 il debito è volato al 155,3% ma al riguardo non c’è nessun ragionamento contabile da fare. L’emergenza da fronteggiare era il Covid. Resta il fatto che nel 2021 (con la legge finanziaria impostata da Conte) siamo scesi al 150%. Un successo enorme frutto soprattutto della crescita del Pil del 6,7%. Un successo che non si vedeva dagli anni del boom economico

E qui si apre un dibattito che non è più finanziario ma ideologico e, in qualche caso, supera il crinale della ragionevolezza per sfociare in articolo di fede. L’angolo di meditazione è il seguente: il boom dell’anno scorso (che senza la guerra non si sarebbe interrotto nemmeno adesso) era una componente dell’effetto Draghi o le cause erano diverse? Difficile trovare una risposta che non sia divisiva. Per capire non si può trascurare il ruolo della Bce che pompando liquidità ha mandato a zero, se non sottozero, il costo del debito pubblico in tutta Europa. Basterà ricordare che i Btp pagavano il 4,1% a ottobre 2018 (mentre Roma litigava con Bruxelles). Esattamente un anno dopo erano andati all’1,8% e ad agosto 2021 allo 0,5%. Le scadenze più brevi erano tutte a tassi negativi anche da noi.

Da allora è cominciata la risalita legata soprattutto alla progressiva riduzione degli acquisti da parte della Bce. All’inizio dell’estate c’è stato lo stop definitivo e ora si discute di Qt che è il contrario del Qe. Significa che la Bce non solo non comprerà più titoli ma lascerà scadere quello che ha in portafoglio senza rinnovarli. Insomma si tornerà indietro di undici anni quando la Bce, guidata da Trichet si guardava bene dall’intervenire sui mercati. Infine la guerra. Nella valutazione di quello che è accaduto nel venti mesi di permanenza di Draghi a Palazzo Chigi c’è questo elemento da considerare. Assolutamente inatteso come può esserlo una bomba. Giorgia Meloni sarà la prima donna a salire a Palazzo Chigi. Dovrà fare tesoro degli errori che hanno fatto di Liz Truss il premier britannico con il mandato più breve della storia.

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