Doccia fredda sulla Meloni, neanche Parigi vuole il recovery
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Energia Mar 08 novembre 2022

Doccia fredda sulla Meloni, neanche Parigi vuole il recovery dell’energia

Doccia fredda sulla Meloni, neanche Parigi vuole il recovery dell’energia. Parigi contro gli Usa: sussidi alle aziende contro la concorrenza. Doccia fredda sulla Meloni, neanche Parigi vuole il recovery dell’energia BRUNO LE MAIRE MINISTRO FINANZE FRANCESE
Alessandro Giorgiutti
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Alessandro Giorgiutti

Nato a Udine nel 1978, ha lavorato vari anni a Libero con una breve parentesi al Giornale.

Il recovery dell’energia

La Francia guida l’Unione europea alla guerra commerciale contro gli Stati Uniti? Ieri con due interventi pubblici il commissario francese al mercato interno Thierry Breton e il ministro dell’economia di Parigi Bruno Le Maire hanno messo nel mirino le sovvenzioni miliardarie alle aziende Usa decise ad agosto dall’amministrazione Biden con l’Inflation Reduction Act, annunciando possibili ritorsioni.

In un’intervista concessa a vari giornali europei, Le Maire ha inoltre denunciato il rischio di un declino industriale del vecchio continente, ha avvertito che l’inflazione si prolungherà anche dopo la fine della crisi energetica, e ha chiuso le porte all’ipotesi di un piano di rilancio dell’economia sul modello del Recovery fund. Se il governo italiano ha sperato di trovare a Parigi un partner per contrastare la ritrosia tedesca a mobilitare nuovi fondi come durante la pandemia, dovrà forse rivedere i propri piani.

«I 367 miliardi di dollari di sussidi» messi sul tavolo dagli americani per sostenere le loro imprese «creano un vero e proprio elemento di distorsione della concorrenza», ha denunciato ieri Breton. Venerdì la Ue ha chiesto agli americani di ritirare dal loro pacchetto di aiuti nove misure ritenute «discriminatorie» e contrarie alle norme dell’Organizzazione mondiale del commercio (Wto); se non lo faranno «dovremo rivolgerci al Wto e prenderemo in considerazione misure di ritorsione», ha detto Breton.

Ricorso al wto?

Le Maire, dal canto suo, ha detto che «alcune grandi aziende straniere che volevano insediarsi in Europa sono ora indecise tra la sede europea e quella americana. In alcuni casi, l’ammontare dei sussidi proposti dall’amministrazione Biden è da 4 a 10 volte l’importo massimo consentito dalla Commissione europea». Ricordando che «la nostra industria soffre già di un deficit di competitività dovuto alle differenze di prezzo dell’energia tra Usa ed Europa», il ministro francese ha ribadito: «I massicci sussidi forniti dall’Inflation Reduction Act degli Stati Uniti e la concorrenza cinese, anch’essa fortemente sovvenzionata, rischiano di ampliare ulteriormente questo divario».

Ma l’Europa non parteciperà alla «corsa ai sussidi». Piuttosto, la Commissione dovrebbe avanzare «proposte decise e proporzionate. Ciò può avvenire attraverso un’affermazione più rigorosa dei nostri interessi ambientali, attraverso meccanismi di preferenza europei o accelerando l’utilizzo degli strumenti di reciprocità che abbiamo messo in atto durante la presidenza francese del Consiglio dell’Unione europea, come il regolamento sul controllo degli aiuti di Stato da parte di Paesi terzi».

Le Maire ha anche sottolineato che il problema più grave non sarà la recessione in arrivo: «Il vero rischio per l’Europa è il declino industriale. L’Ue rappresenta oggi il 17% dell’economia mondiale. Era il 25% nel 1990. La Cina rappresenta inoltre il 17% dell’economia mondiale. Era il 3% nel 1990. Il rischio reale per l’Europa è di rimanere indietro dal punto di vista tecnologico, industriale ed economico, lasciando campo libero a Stati Uniti e Cina».

Senza troppe illusioni

Quanto all’inflazione, «è in gran parte inflazione importata, derivante dall’aumento dei prezzi dell’energia, che si riflette in un massiccio trasferimento di ricchezza dall’Ue ai Paesi produttori di petrolio e gas. La vera risposta al controllo dell’inflazione è quindi l’indipendenza energetica europea». Ma senza troppe illusioni. «Quando usciremo da questa crisi energetica, probabilmente avremo un livello di inflazione superiore a quello degli ultimi decenni. Perché? Perché la delocalizzazione della nostra produzione – una priorità strategica per tutti i paesi europei – e la decarbonizzazione dell’economia aumenteranno strutturalmente il costo di alcuni prodotti».

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