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EuropaPrimo piano Lun 23 gennaio 2023

Dopo il price cap, l'Ue prepara il balletto sul fondo comune europeo

Si parla di proposte rapide, ma sul fondo comune Ue ci sarà un nuovo balletto. Il rebus gli aiuti di stato e il peso di Francia e Germania Dopo il price cap, l'Ue prepara il balletto sul fondo comune europeo
Alberto Mapelli
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Alberto Mapelli

Fondo comune, l’Ue prepara il nuovo balletto

Se sentivate nostalgia delle trattative e dei balletti sul price cap che hanno monopolizzato il dibattito in Europa per settimane potete tranquillizzarvi. Nell’Unione europea si sta preparando il campo per un remake: l’oggetto del contendere questa volta è un nuovo fondo unico per consentire alle imprese europee di stare al passo e non venire schiacciate dall’Inflation Reduction Act da 730 miliardi di dollari stanziato dall’amministrazione Biden.

La volontà della maggior parte dell’Europa pare chiara: agire in modo comune per non essere surclassati dalle imprese d’oltreoceano. I proclami non mancano. L’ultimo è arrivato da Charles Michel, presidente del Consiglio europeo, intervistato da Repubblica. La sintesi è questa: sono essenziali fondi comuni europei per contrastare una fase straordinaria, non bisogna perdere tempo, la Commissione europea deve presentare una proposta complessiva, aiuti di stato inclusi, al prossimo Consiglio europeo (in calendario il 9-10 febbraio).

Ma in Europa c’è già chi dice no

Se l’intento appare lodevole, le possibilità che un calendario così serrato venga rispettato, considerati i precedenti, sembrano invece al lumicino. Anche perché il tema è complesso, ampio e va a toccare sensibilità e interessi molto differenti in Europa. Il primo elefante nella stanza è la posizione espressa o fatta intendere dai Paesi frugali di recente. Nonostante Olaf Scholz, cancelliere tedesco, abbia fatto trapelare il suo favore al progetto, andrà convinto il plotone del no. Capitanato, come sempre, da Mark Rutte: il premier olandese che a Davos non si è fatto problemi a tirare il freno a mano.

“Ora alcuni dicono, servono più finanziamenti europei, beh, ce ne sono così tanti”, ha commentato sarcastico Rutte a Davos. “Non sono a favore, ci sono così tanti soldi messi in comune, il Recovery fund, i progetti europei, i soldi per gli obiettivi 2030 per la transizione energetica”. Una posizione poco travisabile, che richiederà, sempre considerando i precedenti, lunghe trattative e concessioni per portare il negoziato a termine. Tanto che Michel, nell’intervista a Repubblica, corregge il suo stesso tiro. Difficile che in poche settimane si arrivi all’emissione di nuovo debito comune, più facile che si opti per una riorganizzazione e ridestinazione dei fondi già stanziati e non utilizzati.

L’elefante nella stanza: gli aiuti di stato e il ticket Francia-Germania

Il secondo elefante nella stanza è la riorganizzazione degli aiuti di Stato. Un tema molto caro a Francia e Germania ora che, con l’inflazione, sono state le nazioni più generose nell’elargire aiuti alle proprie imprese grazie a maglie più larghe concesse in via eccezionale dall’Ue. Nel 2022 gli sono state accordati dall’Ue aiuti straordinari per 400 miliardi. E sempre di Francia e Germania, ricorda Rep, sono l’80% dei 170 miliardi di sostegni straordinari legati all’emergenza energetica.

Lo hanno potuto fare anche grazie a un maggiore margine nel proprio bilancio che, però, finisce per andare ad alterare la base del mercato comune. Se la Commissione rendesse più strutturale le possibilità sugli aiuti di Stato, le imprese europee rischierebbero di non giocare tutte con le stesse regole. È questo il timore dei Paesi più rigoristi. Che la moneta di scambio di Germania e Francia sia un allentamento delle regole sugli aiuti di stato in cambio di nuovo debito comune.

In quest’ottica rischiano di pesare anche i continui trattati bilaterali e i patti su “linee comuni” da seguire tra Francia e Germania. L’ultima ieri, con Macron e Scholz che si sono trovati per provare a definire una posizione unitaria sulle partite fondo unico e aiuti di stato. Se si vuole provare a creare un nuovo debito europeo con regole condivise e che sostenga l’economia di tutta Europa, il modo migliore per farlo, forse, non è imporlo con una linea imposta dalle due economie che più hanno avuto benefici dal recente allentamento delle regole. 

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