All’Europa le attuali regole non bastano per gestire le emergenze
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ApprofondimentiEuropa Sab 24 settembre 2022

All’Europa le attuali regole non bastano, serve un piano per le emergenze

All’Europa le attuali regole non bastano, serve un prontuario per affrontare le emergenze e definire lo stato d’eccezione. All’Europa le attuali regole non bastano, serve un piano per le emergenze
Redazione Verità&Affari
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Le regole dell’Europa

Nell’architettura dell’Ue manca un elemento essenziale: la configurazione d’emergenza, cioè un protocollo che definisca lo stato d’eccezione in modo da non solo permettere la sospensione delle regole ordinarie, ma anche azioni speciali di contrasto ai motivi dell’emergenza stessa.
Da mesi la situazione richiede una tale configurazione, ma non è stata messa nell’agenda comune. Il risultato è che l’Ue e la Bce, a cui le nazioni hanno ceduto pezzi sostanziali di sovranità, hanno trasferito e stanno trasferendo alle nazioni stesse una responsabilità di gestione dello stress che molte non riescono a sostenere. Il tema è oggetto di una riparazione urgente dell’ingegneria istituzionale europea.

Se nel febbraio scorso l’Ue e la Bce avessero potuto accendere uno stato d’eccezione in base ad una situazione di guerra combinata con una di scarsità di materiali critici e di amplificazione dell’inflazione post-pandemica (evidente già nell’estate 2021) e post-esagerazione espansiva della politica monetaria, il tutto complicato da uno scenario di de-globalizzazione, come si sarebbe potuta costruire una configurazione d’emergenza adeguata? Quella che segue è ovviamente un’opinione personale di chi scrive, ma è utile esplicitarla e sottoporla a critica per stimolare risposte che al momento non ci sono – o appaiono inadeguate.

Fondo a fisarmonica

Chi scrive immagina, nel caso, la creazione di un fondo Ue “a fisarmonica”, cioè caricato inizialmente di 200 miliardi poi espandibili in caso di fabbisogno incrementale, a debito comune. La Bce – immaginando uno statuto a cui sia stata aggiunta la funzione d’emergenza definibile come “prestatore attivo di ultima istanza” – avrebbe avuto la possibilità di comprare in asta primaria tale debito. Orrore, monetizzazione del debito? Non necessariamente.

Nell’eurosistema gli acquisti di debito vengono fatti dalle Banche centrali nazionali che incassano la remunerazione dei titoli. Ma se si vieta che queste Banche centrali poi versino il rendimento specifico nelle casse degli Stati, la monetizzazione del debito non ci sarebbe più. E dove andrebbe tale rendimento? Nelle casse della Bce che lo userebbe per ridurre il debito stesso nel tempo, generando una massa monetaria X autoriducentesi: tale opzione sarebbe un modo per sterilizzare il debito, non facendolo

Troppo pesare sugli Stati.

Ma peserebbe sul bilancio della Bce innescando altre distorsioni? La materia è poco esplorata, ma chi scrive, con l’ausilio del suo gruppo di ricerca, ha tentato una simulazione preliminare grezza da cui è emerso che la perimetrazione precisa di una massa monetaria con destino di autoriduzione, anche nel lungo termine, è sostenibile dal bilancio di una Banca centrale, ovviamente entro certi limiti, nel caso concreto stimabili fino a quasi 1.500 miliardi di euro (800 salvifici nelle contingenze Ue 2022-23 e 24).

Rischio inflazione?

Ma tale azione diventerebbe una pompa di inflazione in contraddizione con la priorità di disinflazione? Non necessariamente. I denari verrebbero assegnati agli Stati per missioni molto precise di compensazione dei danni e dei rischi dimostrabili, con una metrica comune gestita da Eurostat. Per esempio, poniamo che il meccanismo detto (non condizionale) fosse stato usato per mettere un tetto ai prezzi del gas: sarebbe stato inflazionistico?

No, avrebbe bloccato la diffusione dell’inflazione e ridotto la necessità di combattere quella “da offerta” mandando in recessione il sistema (questo un orrore) via aumento dei tassi. Soprattutto, l’azione combinata e convergente di politica fiscale e monetaria avrebbe permesso agli attori di mercato la calcolabilità dei costi. La sua assenza tende ad amplificare il pessimismo economico e la propensione al rischio degli investimenti privati, bloccandola. Se si fosse fatto come qui ipotizzato, ora lo stress economico e della popolazione sarebbe stato molto minore.

Due generi di gap

Per chi scrive ciò è talmente evidente da aver chiesto a molteplici attori politici e tecnici perché non lo abbiano fatto o almeno predisposto a livello di non-paper. La risposta, per lo più, è stata la seguente: l’Ue ha dimostrato di saper darsi configurazioni d’emergenza nel caso della pandemia. La Bce ha contrastato la deflazione con mezzi d’eccezione. L’Ue, soprattutto, ha sospeso il Patto di stabilità per permettere gli aiuti di Stato. Da queste risposte chi scrive ha avuto una prova testimoniale che la cultura politica e tecnica dell’Ue e della Bce non riescono a capire le situazioni d’emergenza.

In particolare, tendono a farle rientrare nel regime ordinario, solo flessibilizzandolo. Di fronte a questa critica, le persone interpellate si sono difese citando i trattati ed in alcuni casi segnalando quanto gli stessi siano in realtà flessibili. La controrisposta ovvia da parte dello scrivente è stata che la gestione di un’emergenza implica azione attive specifiche e non solo la sospensione temporanea delle regole ordinarie.

Gap cognitivo o politico? I responsabili del gap configurativo delle istituzioni europee sono i governi che non hanno alcuna intenzione di aumentarne la confederalizzazione. Ma va annotato (qui c’è un gap cognitivo) che non è necessaria una federazione europea per creare un meccanismo comune per le emergenze: è sufficiente fare un protocollo, definire una verticalità accettabile entro un linguaggio di “sovranità convergenti e reciprocamente contributive”. L’ipotesi retro qui data può essere attivata nel prossimo futuro e chi scrive spera che il nuovo governo italiano la proponga agli alleati europei. Ovviamente un meccanismo G7 sarebbe più potente.

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