Per non perdere la guerra con Mosca all’Ue servono 800 miliardi
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Europa Sab 27 agosto 2022

Per non perdere la guerra con Mosca all’Ue servono 800 miliardi

Per non perdere la guerra con Mosca all’Europa serve uno scudo da 800 miliardi. La Ue ha sottovalutato la capacità di resistenza. Per non perdere la guerra con Mosca all’Ue servono 800 miliardi
Carlo Cambi
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Carlo Cambi

Lo scudo da 800 miliardi per l’Ue

Se si scaglia una lancia è ovvio dotarsi di uno scudo. Ma l’Ue ha lanciato una guerra economica alla Russia senza predisporre uno strumento di compensazione degli effetti controproducenti e delle contromisure del nemico. Questo è il motivo di fondo per cui ora lo stress sociale e per le imprese per inflazione e scarsità post-covid, amplificata dalla riduzione bellica delle forniture di energia e altre materie critiche, si sta avvicinando alla soglia di insostenibilità in molte nazioni europee, con rischi di destabilizzazione.

Pertanto c’è l’evidenza tangibile che ora l’Ue debba attivare quel fondo d’emergenza di cui ha discusso a porte chiuse fin dal marzo scorso, ma non ha mai deciso di crearlo per dissensi interni e per errori di calcolo, combinati. Un errore è stato quello di pensare che bastasse permettere gli aiuti di Stato fino al 2023, cioè di scaricare sui singoli Stati membri l’onere di compensare i danni del conflitto: era facile prevedere che nel momento in cui si decideva e comunicava di ridurre l’importazione di gas russo per circa il 70% nel breve termine per poi azzerarla entro qualche anno, che poi la Russia avrebbe agito tagliando le esportazioni, facendo aumentare i prezzi.

L’errore è stato talmente vistoso da chiedersi quale computo illusorio lo abbia innescato. Forse una sovrastima delle capacità sostitutive da parte dei governi? Non sembra: negli archivi ci sono ricerche istituzionali, probabilmente condivise tra nazioni e trasferite al livello comunitario, datate la primavera scorsa, che calcolavano correttamente il gap energetico e le possibili conseguenze. Controprova è il fatto che in tarda primavera alcune nazioni hanno siglato accordi bilaterali di reciproco aiuto in caso di gap energetico.

Forse la convinzione che il blocco dei fondi della Banca centrale russa e l’isolamento del sistema bancario avrebbe convinto Mosca a non attuare ricatti dove l’Ue e gli Stati Uniti erano più vulnerabili? Questa illusione c’è stata per un certo periodo, ma presto è stata evidente la facilità con cui Mosca, pur seriamente ferito il suo ciclo finanziario, poteva aggirare tali sanzioni. E quando emerse tale evidenza l’Ue non cambiò passo, appunto, generando un fondo d’emergenza per coprire l’extracosto dovuto alla capacità intatta di Mosca di ricattare: questo il vero errore, più di quello relativo ad esplorare se la promessa ed esecuzione di sanzioni pesanti avrebbe condizionato il nemico.

Ma c’è un altro fattore, il principale, che non può dirsi un errore, ma che è stata una scelta: attivare una guerra economica contro la Russia perché né Ue né America volevano combattere con le armi, delegando il ruolo di confronto cinetico simmetrico contro i russi agli ucraini che, quindi, avevano bisogno di essere rassicurati ed incentivati (adesione all’Ue e distacco dalla Russia) per farlo. In sintesi, le sanzioni sono servite a non far sentire sola l’Ucraina per rinforzarne la combattività. Se questa è stata la scelta, e chi scrive la condivide considerando l’incapacità bellica dell’Ue e il rischio di conflitto nucleare se diretto tra Russia e Nato, tanto più è evidente l’errore di non aver ancora creato un fondo speciale a debito comune d’emergenza per evitare che le retrovie si destabilizzino a causa di uno stress economico eccessivo, vanificando così il sacrificio di centinaia di migliaia di combattenti ucraini. Proprio questa è la speranza strategica di Mosca che va contrastata azzerando la vulnerabilità dell’Ue al ricatto russo con una misura finanziaria straordinaria oltre che col deterrente Nato.

Quale fondo, che tipo di missione e con quanta dotazione? L’ipotesi di chi scrive, che ha già tratteggiato su queste pagine, è quella di un fondo paneuropeo a debito comune che compensi l’inflazione (sul lato dell’offerta e quindi poco sensibile alle correzioni via politica monetaria). Il formato dovrebbe essere “a fisarmonica”: caricato o scaricabile a seconda del fabbisogno e non basato su una cifra fissa. La stima dello scrivente è che potrebbero servire, se tale fondo fosse acceso ai primi di ottobre (possibile, volendo) dai 500 agli 800 miliardi per un primo periodo di 20 mesi nei quali risulta possibile attuare la sostituzione quasi completa delle forniture di energia dalla Russia. La cifra è alla portata dell’Ue. Si potrebbe anche caricare la dotazione del (vituperato e per questo inutile) Meccanismo europeo di stabilità (circa 400 miliardi di potenziale) e convertire parte del fondo pandemico già attivo, che è stato chiuso a fine giugno, ma con un residuo che resta aperto fino al 2023, ecc.

Quale meccanismo

Con quale meccanismo di erogazione? Ogni nazione dell’Ue fornisce una stima di fabbisogno extra alla Commissione e dopo un rapido controllo riceve i soldi che non vengono computati nel suo debito nazionale. Chi scrive immagina anche un finanziamento diretto della Bce che assorba nel proprio bilancio, sterilizzandola per 30-50 anni, la cifra. Ma 500, 800 o perfino 1500 miliardi sarebbero reperibili sul mercato in forme normali ad un costo basso, in particolare se tale fondo d’emergenza venisse sostenuto dal G7.
Accenderà l’Ue un tale fondo con scopi di disinflazione rapida? Per chi scrive dovrebbe farlo, predisponendolo entro settembre. Ma servirebbe una dottrina pre-costituzionale europea: in casi d’emergenza dove gli Stati sono in situazioni che eccedono le loro capacità ordinarie interviene tutta l’Ue e la Bce prende una configurazione d’eccezione per sostenerla. Se non lo facesse lo stress verrebbe scaricato su famiglie ed imprese, come ora, in tutta Europa.

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