Popolare di Bari, quale salvataggio? I costi sono pari a 1,5 volte le entrate
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Finanza Lun 30 maggio 2022

Popolare di Bari, quale salvataggio? I costi sono pari a 1,5 volte le entrate

C’è un numero che dovrebbe preoccupare, e molto, i vertici della Banca Popolare di Bari e il Mediocredito Centrale che la controlla. Popolare di Bari, quale salvataggio? I costi sono pari a 1,5 volte le entrate
Fabio Pavesi
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Fabio Pavesi

I salvataggio della Popolare di Bari

C’è un numero che dovrebbe preoccupare, e molto, i vertici della Banca Popolare di Bari e il Mediocredito Centrale che la controlla. Quel numero secco parla da solo più delle oltre 350 pagine del bilancio del 2021 dell’istituto pugliese. Il numero da brividi è 152%. È la percentuale dei costi in rapporto ai ricavi totali della banca. Con costi, pari a una volta e mezzo le entrate, le perdite sono assicurate per principio.
Nessuna banca italiana ha un rapporto tra costi e ricavi così elevato. Neppure il tanto malandato Montepaschi, di cui si parla sempre come emblema dei disastri bancari, e neanche la Carige. Le grandi banche come Intesa e Unicredit viaggiano con un cost/income di poco più del 50%; banche meno efficienti toccano il 70%. Ma davvero nessuna ha livelli così insostenibili di costi.

Così diventa inevitabile che si chiuda i conti in perdita, quasi in automatico, come è stato l’anno scorso per la banca (salvata dallo Stato via Mediocredito Centrale), che ha chiuso il bilancio con un buco da 170 milioni. Per questo definire la vicenda della banca pugliese, gestita per decenni dalla famiglia Jacobini e andata in crack per «mala gestio», come l’ennesimo istituto salvato dal fallimento stride un po’. Certo, il capitale, eroso da oltre 1,5 miliardi di perdite dopo le pulizie dell’amministrazione straordinaria cui si aggiungono i 170 milioni odierni, è stato rimpolpato e oggi il patrimonio è stato ricostituito e non ci sono per ora problemi di deficit. Ma ci dobbiamo fermare qui. Con quel po’ po’ di costi la Popolare di Bari non è certo una banca che si è riavviata su un percorso di normalità.

Gli amministratori, con in testa il nuovo amministratore delegato Cristiano Carrus, rassicurano, spiegando nelle righe del bilancio che ben 44 milioni sono costi una tantum frutto dell’accordo sindacale del giugno 2020 che finanzia gli incentivi all’esodo del personale. Anche tolto nei prossimi anni il maxi-onere per esodare dipendenti, restano costi operativi per 275 milioni di euro. Comunque sempre più elevati dei ricavi che nel 2021 sono stati di soli 209 milioni. Senza una manovra molto forte nei prossimi anni per tagliare ulteriormente i costi la Bari continuerà a presentare conti in perdita. Così non si va da nessuna parte. Mcc ha fatto il suo rilevando, suo malgrado la quasi totalità del capitale della Bari, togliendo molte castagne dal fuoco alla politica e al governo. Ma senza un cambio di rotta nella gestione ordinaria l’istituto continuerà a galleggiare in una sorta di terra di nessuno, consumando nuovamente con le perdite il capitale tanto faticosamente raccolto. Non ci sono soltanto costi abnormi a dover preoccupare il nuovo presidente Massimiliano Cesare (che ha sostituito il dimissionario Gianni De Gennaro) e il capo azienda Carrus.

Tra sofferenze e incagli

La ex banca della potente famiglia barese Jacobini continua ad avere livelli di sofferenze e incagli sopra la media del sistema creditizio italiano. Nel 2021 sono stati svalutati crediti malati per 84 milioni di euro, un valore che assomma al 40% di tutti i ricavi della banca. E nonostante il colpo di ramazza il totale dei crediti deteriorati lordi vale tuttora oltre il 10% degli impieghi. Sono 531 milioni di euro di prestiti avariati su poco più di 5 miliardi di portafoglio impieghi. Quelli netti valgono 280 milioni e sono oltre il 5% degli impieghi. Sono di fatto percentuali più che doppie rispetto alla media del sistema bancario e ci dicono che per rientrare in un alveo più fisiologico c’è da aspettarsi nuove rettifiche nei prossimi anni che impatteranno sui conti mandandoli in perdita.

Tra l’altro, mentre in genere per il sistema bancario i flussi di nuove sofferenze e incagli sono in forte diminuzione, per la Bari accade il contrario. Solo tra il 2020 e il 2021 i nuovi crediti malati sono aumentati del 32%, ci ricorda il bilancio dell’ultimo esercizio. Ecco perché ritenere – dopo l’intervento pubblico del Mediocredito Centrale – risolta la questione di una delle ultime banche dissestate è una pia illusione ottica. E fanno sorridere quanti propugnano la Popolare di Bari come perno di un grande istituto di credito del Sud Italia. Già così da sola la banca pugliese stenta a stare sulle sue gambe, figurarsi prefigurare un polo aggregante.

Rapporto costi e ricavi

Per far tornare il rapporto tra costi e ricavi a livelli del 60-70%, come per molte banche medie italiane, occorrerà uno sforzo da giganti. O si tagliano i costi di oltre 100 milioni di euro o si aumentano i ricavi di un valore analogo. Oppure, ancora, si fa un mix delle due manovre. Certo è che anche mixando gli interventi vorrà dire vedere i ricavi salire a doppia cifra percentuale per i prossimi anni. Con l’aria che tira, e con le banche migliori che a malapena vedono crescere i ricavi di una sola cifra percentuale, Carrus e i suoi dovranno compiere un vero e proprio miracolo. Intanto hanno già messo le mani avanti: il piano industriale è stato rivisto e ora prevede che l’utile (piccolo) potrà arrivare soltanto nel 2023. E che la banca avrà comunque un rapporto di sofferenze e incagli a fine percorso più alto rispetto alla media del sistema.

Come sempre i piani sono scritti sulla carta, poi occorrerà verificarne l’impatto con la realtà. Chi intanto deve incamerare perdite è il Mediocredito Centrale, che ovviamente risente a livello consolidato dei buchi di bilancio della Bari. L’anno scorso i conti di Mcc a livello di gruppo si sono chiusi in perdita per oltre 32 milioni di euro nonostante la capogruppo abbia chiuso il bilancio 2021 con utili per oltre 86 milioni. La Popolare di Bari pesa eccome sui conti del Mediocredito guidato da Bernardo Mattarella, il figlio del presidente della Repubblica.

Oltre alle perdite occorre conteggiare i 430 milioni di euro che il Mediocredito Centrale ha messo sul piatto per la Popolare di Bari. Soldi pubblici cui si sommano i soldi messi dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (cioè da tutte le banche italiane) per la bellezza di 1,17 miliardi di euro per ricostituire il capitale della banca pugliese. Un bel dispendio di risorse per salvare la banca dal crack prodotto dalla gestione Jacobini. Ora tocca alla nuova Bari far vedere che quei soldi non sono stati messi inutilmente. Ma con quel 152% di costi sui ricavi per ora nessuno può inneggiare al salvataggio della banca.

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