Tim, quale futuro? Tra Opa e rete unica, la strategia del governo
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ApprofondimentiFinanza Sab 12 novembre 2022

Il futuro di Tim tra Opa e rete unica. Ma Giorgetti frena gli entusiasmi

Se nello scorso fine settimana l’ormai famoso piano Minerva era diventata una sorta di opzione prioritaria per il futuro di Tim. Il futuro di Tim tra Opa e rete unica. Ma Giorgetti frena gli entusiasmi
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Il futuro di Tim

Se nello scorso fine settimana l’ormai famoso piano Minerva era diventata una sorta di opzione prioritaria per risolvere i problemi di Tim, oggi le possibilità che si arrivi a un’offerta pubblica d’acquisto da parte della sola Cassa Depositi e Prestiti (secondo azionista di Tim con il 10%) sembrano assai ridotte. Così il titolo che arrivava da un rimbalzo importante che l’aveva portato al massimo degli ultimi mesi, ieri ha perso intorno al 3,5% e si è assestato a quota 0,236 euro.

Cos’è successo? Da una parte ci sono state delle dichiarazioni ufficiali. E mentre quelle dello scorso fine settimana di Alessio Butti, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’innovazione tecnologica, avevano dato un chiaro segnale nella direzione di una possibile offerta di acquisto di Tim (il piano Minerva era stato considerato «prioritario»), quelle delle ultime ore del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti sono state molto più caute: «Ci sono tanti ministri coinvolti – ha evidenziato -, dobbiamo discuterne». La domanda faceva chiaro riferimento alla possibile offerta pubblica di acquisto di Cdp. Che però sembra perdere appeal – almeno nell’opzione in solitaria – ogni ora che passa.  Innanzitutto per una questione di liquidità e poi perché rapporti tra il nuovo governo targato Giorgia Meloni e i vertici della Cassa non sono idilliaci.

Il ruolo di Draghi

Non è un mistero che l’ad di Cdp, Dario Scannapieco, sia molto vicino all’ex premier Mario Draghi e nelle intenzioni istituzionali avrebbe dovuto rappresentare una figura di continuità tra i due esecutivi. Ma l’ex Bei non sembra affatto disponibile ad assecondare i piani del governo che portano al progetto Minerva e quindi a un’Opa su Tim.

A tanti, per esempio, non sono sfuggite le parole dell’ad Pietro Labriola che ancora fino a poche ore fa parlava come se il piano Minerva non esistesse e focalizzava l’attenzione sul Mou e sulla possibilità di arrivare alla rete unica con un’offerta di Open Fiber (partecipata al 60% da Cdp) per la rete primaria di Tim.

Ma qui c’è un problema di valutazione. Perché Cdp e Open Fiber non sembrano disposti a offrire più di 18 miliardi, mentre Vivendi, il primo azionista di Tim, ne chiede più di 30.

Le altre strade

E quindi? Come se ne esce? Una delle strade più gettonate è quella che porta alla cosiddetta “ammucchiata”. Un’offerta pubblica d’acquisto che vedrebbe coinvolti tutti gli attori protagonisti della saga Tim. Dalla Cassa per arrivare fino ai francesi di Vivendi e ai fondi Macquarie che ha il 40% di Oper Fiber e Kkr che ha il 37,5% di Fibercop, la rete secondaria di Tim. Mentre da diversi giorni sui mercati gira voce di un’opa parziale lanciata non da Cdp ma da un fondo attraverso un veicolo nel quale Cdp e Vivendi conferirebbero il loro 34% circa.

«Non vengono addotte le ragioni per cui Cdp non potrebbe, almeno direttamente, lanciare un’opa su Tim: l’impedimento maggiore – ragionano gli analisti di Intermonte – ci sembra quello delle disponibilità finanziarie di Cdp e del consolidamento del debito di Tim, ma le medesime issue si presenterebbero con l’acquisizione di NetCo da parte di Cdp, mentre il consolidamento del debito sarebbe una issue solo temporanea in vista della successiva o contestuale dismissione degli asset retail per ragioni antitrust». Poi gli analisti si soffermano sulle differenze tra l’ammucchiata e l’Opa parziale.

Le due ipotesi

Nel primo caso Cdp avrebbe «spazio per minimizzare l’impegno finanziario per un’eventuale opa, alleandosi con altri soggetti (per esempio con i fondi Kkr, Macquarie e la stessa Vivendi che potrebbe decidere di reinvestire la sua quota nel veicolo) e rilevando la maggioranza di un veicolo chiamato a promuovere l’opa».

Invece l’ipotesi di un opa parziale da parte di Cdp e soci «potrebbe rivelarsi l’opzione meno market friendly sul tavolo: il premio opa sarebbe verosimilmente inferiore e gli azionisti di minoranza verrebbero esposti ai rischi di execution legati alla cessione degli asset retail e di Tim Brasil, con possibili ripercussioni sul titolo Tim che resterebbe quotato». Tirando le somme, un’opa totalitaria finalizzata al delisting della società «ci sembra la strada preferibile in vista del successivo break-up e della dismissione degli asset retail».

In attesa che venga presa una decisione, va anche detto che ancora ieri non risultavano assegnate le deleghe sul dossier tlc, Tim e rete unica. Di certo – come evidenziava Giancarlo Giorgetti – saranno competenti Mise, Mef e Palazzo Chigi, ma una volta ricevute le deleghe il sottosegretario Butti potrebbe fare da pivot. E sarebbe almeno un primo passo per fare chiarezza e diradare qualcuna delle nuvole che si scorgono all’orizzonte di Tim.

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