Eurovita, i numeri e il passato fanno paura: serve una soluzione
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ApprofondimentiFinanza Mer 15 marzo 2023

Eurovita, i numeri fanno paura: ecco perché serve una soluzione

Quindici giorni per mettere in sicurezza la compagnia con 353 mila clienti e 15,3 miliardi di polizze. Il confronto con i grandi crac Eurovita, i numeri fanno paura: ecco perché serve una soluzione
Gianluca Paolucci
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Gianluca Paolucci

Ha lavorato per Reuters e La Stampa occupandosi di finanza, crac bancari, criminalità finanziaria e corruzione. Dal 2022 è caporedattore di Verità & Affari e scrive per La Verità e Panorama.

Eurovita, i numeri che spiegano perché serve una soluzione

Circa 15,3 miliardi di polizze vendute a 353 mila risparmiatori. Sono i numeri del caso Eurovita, soldi “congelati” in attesa di una soluzione alla crisi della compagnia. E dovrebbero destare maggiore attenzione di quanta non ne hanno ottenuta finora. Perché questi numeri, in caso di un ulteriore deterioramento della situazione, collocherebbero (condizionale necessario, con le autorità impegnate nella ricerca di una soluzione) Eurovita in vetta ai casi di risparmio tradito di questo millennio, che elenchiamo di seguito

Il caso è deflagrato a inizio febbraio con la decisione dell’Ivass di bloccare i riscatti delle polizze fino al 31 marzo prossimo. Per trovare una soluzione, l’Ivass e il commissario Alessandro Santoliquido hanno ancora 15 giorni di tempo. Tra le ipotesi c’è quella di un intervento “di sistema”, tra altri gruppi assicurativi e banche che hanno collocato i prodotti Eurovita. Secondo quanto ricostruito però le banche e assicurazioni interpellate dall’Ivass sono rimaste fredde. Eppure, nessuno può permettersi un nuovo caso di “risparmio tradito”, con perdite che, seppure limitate, andrebbero a intaccare le tasche dei clienti.

I casi del passato siano un insegnamento

I casi del passato mostrano come la fiducia è il bene principale nel mercato e una nuova crisi di fiducia dei risparmiatori avrebbe conseguenze imprevedibili. Tanto più in settore, quello assicurativo, rimasto finora sostanzialmente indenne dagli scandali. Le altre ipotesi sono una liquidazione che consentirebbe di recuperare in tempi relativamente brevi almeno una parte del capitale investito. O un prolungamento del commissariamento che però implica un ulteriore congelamento delle somme investite dai clienti nelle polizze.

Paradossalmente, il crac della banca Usa Svb potrebbe essere la molla che può convincere banche e assicurazioni a impegnarsi per la soluzione “di sistema”. Perché nessuno può permettersi una nuovo caso di risparmio tradito.

Tango Bond – 12,8 miliardi, 450 mila risparmiatori

Il caso scoppia con il default dell’Argentina nel dicembre del 2001. Coinvolti circa 450 mila risparmiatori italiani, che avevano comprato i titoli di Stato del paese sudamericano (chiamati in gergo Tango bond) allettati dagli alti rendimenti. Complessivamente avevano investito 14,5 miliardi di dollari, pari a 12,8 miliardi di euro (calcolando il cambio euro/dollaro del 2001). Negli anni successivi, la maggior parte dei risparmiatori italiani accettò lo scambio con titoli di Stato argentini di nuova emissione, che comportarono pesanti perdite in conto capitale. Nel febbraio del 2016, dopo più di 14 anni dal default, un accordo con circa 50 mila risparmiatori che non avevano accettato lo scambio ha permesso a questi ultimi di ottenere in contanti il 150% del capitale investito originariamente.

Cirio – 1,1 miliardi, 35 mila risparmiatori

La “madre” degli scandali finanziari del nuovo millennio esplode nel 2002. Il gruppo Cirio fa in default dopo aver emesso bond per 1,1 miliardi di euro. Titoli privi di rating che le banche avevano collocato presso ignari risparmiatori con l’obiettivo di ridurre la propria esposizione verso il gruppo alimentare, la cui struttura finanziaria era ritenuta fragile. Coinvolti 35 mila risparmiatori che avevano acquistato i bond. 

Parmalat – 14 miliardi, 106 mila risparmiatori

Il più grande crac societario italiano ha coinvolto 106 mila risparmiatori. Lo scandalo esplode nel dicembre del 2003, quando emergono i macroscopici falsi in bilancio della società. Il controvalore del “buco” lasciato dal dissesto di Parmalat è stimato in circa 14 miliardi euro. Al momento del collasso, il gruppo aveva un rating “tripla A” da parte delle principali agenzie di rating. I suoi bond, ritenuti “sicuri” erano stati collocati in grandi quantità anche presso piccoli risparmiatori. Le cause che ne sono seguite sono andate avanti pero oltre un decennio dal crac. In alcuni casi i tribunali hanno riconosciuto il diritto per i singoli risparmiatori di essere risarciti e indennizzati da parte delle banche che avevano collocato o venduto i bond.

Le quattro banche – 430 milioni, 12.500 risparmiatori

Nel novembre del 2015 il ministero dell’Economia decide per la risoluzione di quattro piccole banche dell’Italia centrale: Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti. Con il provvedimento vengono azzerate le obbligazioni subordinate emesse dai quattro istituti, nelle quali avevano investito molti piccoli e piccolissimi risparmiatori. Lo scandalo coinvolge 12.500 risparmiatori per un controvalore di 430 milioni di euro. Malgrado i numeri tutto sommato modesti rispetto ai crac precedenti, il caso innesca una pesante crisi di fiducia con ripercussioni anche sulla politica. Per la prima volta, dei risparmiatori perdono i propri soldi come diretta conseguenza di un provvedimento del governo.

Banche venete – 11 miliardi, 210 mila risparmiatori

Nel 2016 esplode il caso di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. le due banche popolari (non quotate) avevano venduto per anni le proprie azioni a correntisti-risparmiatori come prodotti “sicuri” il cui valore non avrebbe subito le oscillazioni dei titoli quotati. Circa 210 mila azionisti perdono tutto il proprio investimento con il fallimento dei due istituti. Alle quotazioni massime, PopVicenza e Veneto Banca valevano 11 miliardi di euro. Le due banche sono state poi vendute a Intesa Sanpaolo per 1 euro, con almeno 5 miliardi di oneri per le casse statali.

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