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FinanzaPrimo piano Sab 11 febbraio 2023

Risparmio gestito, gli errori Ue sulle commissioni dei fondi

La rivoluzione che Bruxelles vuole introdurre sulle commissioni pagate sul risparmio gestito ha luci e ombre. Uno studio lo spiega Risparmio gestito, gli errori Ue sulle commissioni dei fondi
Mikol Belluzzi
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Mikol Belluzzi

Risparmio gestito, perché la Commissione Ue sbaglia

Sta già facendo discutere il mondo del risparmio gestito la rivoluzione che la Commissione Ue, attraverso la commissaria ai Servizi finanziari Mairead McGuinness, vuole introdurre nel settore. La nuova proposta legislativa, anticipata lo scorso dicembre e denominata Eu Retail Investment Strategy, prospetta infatti il divieto del meccanismo della retrocessione che imporrebbe ai Paesi europei dove vige il modello “commission only” di passare a quello “fee only”, già adottato in Gran Bretagna e Olanda. In pratica, per Bruxelles la remunerazione diretta della consulenza dovrebbe ridurre il conflitto di interesse nelle raccomandazioni d’investimento, al contrario di quella basata sulle commissioni retrocesse al distributore che comporterebbe un potenziale conflitto di interesse nel raccomandare prodotti di investimento più costosi per il cliente. Un cambiamento copernicano che andrebbe a impattare su un settore “ricchissimo”.

Un mercato da 18 mila miliardi di euro

Solo in Europa il mercato del risparmio gestito collegato ai fondi d’investimento viene stimato in circa 18 mila miliardi di euro, che generano circa 200-250 miliardi l’anno di euro di commissioni ripartite tra produttori (le società di gestione) e distributori (ovvero chi li colloca o consiglia, cioè banche, reti e consulenti abilitati all’offerta fuori sede) che si prendono la fetta maggiore (anche oltre il 70%). Gli addetti ai lavori stiamo un flusso di 150-200 miliardi di euro all’anno che entrano in questo mondo nelle casse di banche, reti di vendita e consulenti finanziari (non indipendenti) come remunerazione di una rendita spesso di posizione.

Ma siamo sicuri che la “guerra santa” contro il modello “commission only” ingaggiata dalla Commissione Ue sia giusta? A chiederselo è la società di analisi Excellence Consulting che in un lavoro confronta i due modelli di risparmio gestito, focalizzandosi in particolare sulle caratteristiche del contesto italiano rispetto a quello britannico e rifacendosi a dati di Assoreti, e della Authority europea, ESMA, della Consob e dell’omologa FCA (Financial Conduct Authority) con sede a Londra, della stessa Commissione europea. Arrivando alla conclusione che i due modelli hanno entrambi dei pro e dei contro e che la crociata di Bruxelles non è così giusta.

In Italia impatto notevole sulle banche e Sgr quotate

Nel dettaglio della ricerca, il provvedimento nel nostro Paese avrebbe un impatto notevole sulla consulenza finanziaria, costituita prevalentemente da banche e Sgr quotate (Mediolanum, Fineco, Banca Generali, Azimut) o appartenenti a gruppi bancari o assicurativi (come Fideuram, Allianz Bank, Widiba, Che Banca, BNL Life Banker, Credem).

Le prime sei banche reti per dimensione in Italia hanno quota di mercato oltre l’80%, una dimensione da 2.000 a 5.000 consulenti e coinvolgono la gran parte dei consulenti finanziari che negli anni sono passano da 52,2 mila nel 2012 a 51,9 mila nel 2021. Nel Regno Unito la consulenza finanziaria è rappresentata prevalentemente da consulenti e società di consulenza pari al 76% degli addetti totali, di cui l’85% sono consulenti indipendenti. La dimensione di queste società è tuttavia piuttosto limitata: l’89% ha meno di cinque consulenti e assorbe la gran parte dei consulenti finanziari che negli anni è passata da 35 mila nel 2012 a 36,7 mila nel 2021.

Il costo del risparmio gestito è in calo

Se si entra nei dettagli, emerge che sui costi per il cliente non esiste solo il bianco e il nero tra i due modelli. Oltremanica i clienti pagano al consulente in media l’1,9% (consulenza 0,8% + prodotti 1,1%). Il costo dei prodotti è diminuito dopo l’introduzione il 31 dicembre 2012 della RDR – Retail Distribution Review (il corrispettivo della nostra Mifid) che ha vietato appunto le retrocessioni, ma non vi è una evidenza certificata da parte della FCA della riduzione dei costi totali a carico del cliente, a causa del contemporaneo aumento delle commissioni di consulenza.

In merito all’Italia, non ci sono dati certificati Consob sul costo medio totale (consulenza più prodotti) per il cliente, tuttavia, i dati della rilevazione annuale ESMA di costi e performance dei prodotti di investimento indicano che le commissioni di gestione sui fondi del nostro Paese sono le più elevate in Europa, anche se va anche menzionato che la tendenza degli ultimi anni è di decrescita. Nel 2022 è stato rilevato da ESMA per l’Italia un TER (Total Expenses Ratio) del 2,05% per fondi azionari e di 1,19% per gli obbligazionari.

Trasparenza dei costi

Anche riguardo alla trasparenza dei costi, gli aspetti positivi o negativi non sono tutti da una parte o dall’altra. Se è vero che il pagamento diretto di una parcella (fee only) per la consulenza consente al cliente di valutare il rapporto qualità/prezzo del servizio ricevuto, nel nostro Paese è vero che non c’è una chiara percezione di come vengano remunerati i consulenti (il 40% dei clienti ritiene che il consulente sia pagato solo dalla banca, mentre il 15% che svolga un servizio gratuito). Tuttavia va anche menzionato che le banche, in ottemperanza a Mifid 2, devono rendere disponibile ai clienti il rendiconto dei costi, con dettaglio delle spese del cliente per consulenza e prodotti.

Lo studio di Excellence si sofferma anche sulla disponibilità dei clienti a pagare per un servizio di consulenza nel risparmio gestito. Nel Regno Unito il 51% degli adulti afferma di essere disposto a pagare per un consiglio sugli investimenti “se i costi fossero ragionevoli”, mentre i clienti che non hanno chiesto la consulenza sarebbero disposti a pagare una parcella se inferiore all’1% del patrimonio. In Italia il 70% circa dei clienti non è disposto a pagare un servizio di consulenza. E i servizi di consulenza a pagamento lanciati con successo sul mercato italiano dai principali player hanno a oggi raggiunto una diffusione media sulla clientela non superiore al 30-35%.

Pregi e difetti dei due modelli

“La nostra analisi” afferma Maurizio Primanni, ceo di Excellence Consulting, “ci fa capire che i due modelli hanno entrambi pregi e difetti e che essi si attagliano più o meno bene ai diversi Paesi anche in funzione delle loro caratteristiche di base come ricchezza media pro-capite, numero di clienti private rispetto ai clienti lower affluent e mass, disponibilità dei clienti a pagare per servizi di consulenza”.

“Questo lavoro” dichiara Massimo Scolari, che ha supportato Excellence nella raccolta delle informazioni, “dimostra che entrambi i modelli presentano dei pro e dei contro e che dell’uno e dell’altro andrebbero presi gli elementi migliori in base alle loro capacità di essere driver reciproci di efficienza, contestualizzandoli ai comportamenti di investimento e alla disponibilità finanziaria dei clienti. Nessuno dei due sistemi è perfetto e comportano entrambi costi e benefici. Il legislatore dovrà scegliere l’opzione di policy ben sapendo che da ogni scelta possono derivare conseguenze impreviste“.

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