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Finanza Lun 16 gennaio 2023

La sfida di Vivendi su Tim: de Puyfontaine si dimette e chiede un nuovo Cda. Il titolo vola

Si dimette dal Cda Tim di Arnaud de Puyfontaine, il ceo di Vivendi primo azionista del gruppo italiano di tlc. Il titolo guadagna più del 2% La sfida di Vivendi su Tim: de Puyfontaine si dimette e chiede un nuovo Cda. Il titolo vola ARNAUD ROY DE PUYFONTAINE AMMINISTRATORE DELEGATO VIVENDI
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Dopo 7 anni de Puyfontaine lascia Cda Tim

Arnaud de Puyfontaine, il ceo di Vivendi, si è dimesso dal cda di Tim. Un vero e proprio terremoto visto che la media company francese è il primo azionista dell’ex monopolista della telefonia con il 23,75%: una mossa che ha l’obiettivo di chiedere discontinuità nella governance di Tim, con i francesi che da tempo hanno manifestato la loro delusione per la presidenza di Salvatore Rossi, giudicato da Parigi non imparziale, e la richiesta che il suo posto sia preso da Massimo Sarmi, a cui hanno fatto spazio in consiglio dopo le dimissioni del loro rappresentante Frank Cadoret. Ma adesso Vivendi chiede di più e mette sul piatto la necessità di cambiare completamente il Cda della partecipata italiana. Statuto alla mano le dimissioni di un consigliere non hanno nessuna conseguenza pratica, certo che se manca in consiglio un rappresentante del primo azionista un problema c’è e andrà affrontato. In attesa di un comunicato di Tim appare quasi scontato che la questione possa essere discussa nel corso del Cda programmato per il 18 gennaio. 

“Fino a quando per Tim non verrà aperta una nuova stagione, Arnaud de Puyfontaine desidera dedicare tutte le sue energie nella capacità di amministratore delegato di Vivendi, maggiore azionista di Tim dal 2015, con l’obiettivo di ristabilire un percorso di crescita per Tim e per vedere adeguatamente riconosciuto il valore reale dell’azienda e della sua rete”, fanno sapere fonti vicine ai francesi, che da sempre attribuiscono alla rete di Tim un valore molto superiore a quello riconosciuto da Cdp. “In questa fase di dialogo tra i principali azionisti di Tim e il governo, è fondamentale che tutti i soggetti interessati possano essere liberi di operare in modo costruttivo e trasparente nell’interesse di Tim e di tutti i suoi azionisti”, viene spiegato da Parigi. Dalla capitale francese si ribadisce inoltre che Vivendi resta “un investitore di lungo termine” e “conferma con forza il suo interesse industriale per Tim e la propria volontà di intraprendere ulteriori operazioni industriali in Italia” oltre a manifestare “fiducia nel governo italiano”, in un momento in cui sono in corso le trattative per il futuro della rete unica. 

Ma il problema è proprio questo. Dopo le buone intenzioni della vigilia e i primi incontri positivi il tavolo che dovrebbe portare alla definizione dell’operazione delle rete pubblica si è bloccato. Motivo? La valutazione della rete. Con Cdp (il secondo azionista di Tim e primo di Open Fiber) che continua a restare ferma su una cifra che mai supererà i 20 miliardi, nella NetCo dovrebbero confluire una decina dei circa 25 miliardi di debiti di Tim e 21 mila dei 42 mila dipendenti. E Vivendi che valuta l’infrastruttura in capo a Tim (compresa Fibercop, la società della rete secondaria di Tim, dove il fondo Kkr ha acquistato il 37,5% per 1,8 miliardi di euro) più di 30 miliardi. Intorno a questo enorme gap si ferma tutto. Al punto da far passare in secondo piano i rilievi dell’Antitrust, sia a livello nazionale che Ue.  A metà giornata è arrivata anche la nota ufficiale di Tim che evidenzia che le dimissioni di De Puyfontaine hanno effetto immediato. Intanto il titolo aveva già spiccato il volo in Borsa e a un paio di ore dalla chiusura guadagna il 3,2% a quota 0,2576 scommettendo sul fatto che la mossa di Vivendi possa sbloccare anche la partita della rete. Al momento Tim capitalizza 5,5 miliardi. 

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Gli aiuti di Stato

Come se ne esce? Sicuramente gli aiuti di Stato potrebbe dare una mano. Secondo il Sole 24 Ore – non considerando le questioni che riguarderebbero solo Tim – sul tavolo del ministero del made in Italy di Adolfo Urso la società guidata dall’ad Pietro Labriola avrebbe fatto arrivare una serie di richieste che riguardano tutto il settore. Ad esempio la rivisitazione delle risorse pubbliche destinate al piano voucher per destinare una parte delle risorse verso altre misure come la riduzione dell’Iva sui servizi di connettività. Un altro tema – a dir il vero anche questo molto dibattuto – riguarda il mancato riconoscimento delle telco fra le aziende energivore per cui non possono beneficiare degli aiuti garantiti dallo Stato per l’acquisto dell’energia. E poi è stata rimarcata l’esigenza di adeguare i limiti elettromagnetici con l’Italia che he dei paletti alle emissioni che sono 10 volte più severi rispetto ai livelli internazionali: 6 volt al metro contro 60 volt per metro. Per non parlare delle richieste su misure che promuovano operazioni di aggregazione industriale (negli Usa ci sono solo 4 player, pari a quelli che operano nella sola Italia) e alla conferma del contratto di espansione. I due tavoli (18 e 25 gennaio) “chiamati” da Alessio Butti, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio con delega all’Innovazione tecnologica, servono proprio a raccogliere e a fissare le priorità del settore. E con ogni probabilità si sta aspettando di far chiarezza su questo punti prima di rimettere Vivendi e Cdp intorno a un tavolo per parlare di infrastruttura. 

Dove si trovano le coperture?

Possono bastare gli aiuti a sbloccare l’impasse sulla rete? Per rispondere alla domanda bisogna partire da due considerazioni. Da un lato la tempistica e dall’altro le coperture? Quanto tempo ci vorrà per arrivare agli eventuali sussidi e dove si trovano i soldi per venire incontro alle esigenze di Tim e delle altre società di tlc interessate alla partita. Se si pensa che la polemica che sta caratterizzando il dibattito politico da una settimana a questa parte riguarda un miliardo al mese per la mancata conferma del taglio sulle accise, si può capire che l’esecutivo abbia oggi diverse priorità ed è difficile dire fino a che punto potrà spingersi per facilitare il percorso che porta alla rete pubblica. 

Comunque la si mette diventa quindi centrale il ruolo della Meloni. Quando è intervenuto, il presidente del Consiglio l’ha fatto in modo deciso. “Confermo che questo governo si dà l’obiettivo duplice di assumere il controllo della rete, per una questione strategica, e di lavorare per mantenere i livelli occupazionali. Tutto il resto lo lasciamo alla dinamica libera del mercato”, aveva detto nella conferenza stampa di fine anno. Mentre il ministro Urso chiariva: “Spero che entro il 31 dicembre saremo in grado di dare indicazioni sulla rete Tim. Tutto sempre perseguendo l’interesse nazionale nel rispetto degli investitori stranieri”. Il problema è che nelle prime due settimane dell’anno nuovo il dossier non ha fatto passi avanti. Anzi. Se possibile è tornato al punto di partenza. Con le possibili dimissioni dal Cda dell’ad del primo azionista che potrebbero sparigliare di nuovo tutte le carte. 

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