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ApprofondimentiFinanza Sab 04 febbraio 2023

Tim, il silenzio di Vivendi parla americano

14 mesi fa Vivendi ha bocciato l'Opa di Kkr, oggi non non prende posizione sull'offerta per la rete. Anche perché ne trae solo vantaggi Tim, il silenzio di Vivendi parla americano ARNAUD ROY DE PUYFONTAINE AMMINISTRATORE DELEGATO VIVENDI
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

14 mesi fa il no di Vivendi

Quattordici mesi, è questo il tempo passato dall’Opa (o meglio, dalla proposta d’Opa) del fondo Usa Kkr su tutta Tim (a 0505 euro per azione) all’offerta per la sola rete di qualche giorno fa. Agli osservatori più attenti non sarà sfuggito che nel mese di novembre del 2021, il primo azionista di Tim, i francesi di Vivendi che oggi come allora avevano il 23,75% del gruppo italiano di tlc, diedero appena modo al mercato di apprezzare la ghiotta novità per poi bocciare senza appello i circa 11 miliardi messi sul piatto da private equity americano.

Questa volta invece zero. Nessuna dichiarazione ufficiale e pochissime esternazioni ufficiose. Si dirà, all’epoca l’offerta era chiara, oggi invece meno. Il consiglio di amministrazione di Tim conosce i dettagli delle otto pagine di cui si parla, ma nel cda di Tim a oggi (dopo le uscite di Frank Cadoret e Arnaud de Puyfontaine) non c’è nessun rappresentante diretto del colosso dei media fondato da Vincent Bollorè. Irrealistico pensare che l’ad e suoi rappresentanti non abbiano spulciato i dettagli della proposta ed è possibile anche che fossero stati messi a conoscenza prima dell’iniziativa di Kkr. 

Silenzio-assenso?

E allora? Perché il silenzio di in queste ore? Il mercato lo può prendere come assenso? Difficile dirlo. Più ragionevole pensare che da un certo punto di vista adesso Vivendi si trovi in una posizione se non ideale senza dubbio di vantaggio. E che questo vantaggio voglia sfruttarlo fino in fondo. Da un lato vede all’angolo il suo “nemico” in partita. Troppo facile evidenziare come l’iniziativa di Kkr abbia spiazzato innanzitutto Cdp. Il secondo azionista di Tim e primo con il 60% di Open Fiber si è visto anticipare la mossa che aveva preannunciato da mesi. Prima con il Mou, il memorandum of understanding che avrebbe dovuto coinvolgere la stessa Kkr portando a un’offerta nella sostanza di Open Fiber sulla rete Tim per arrivare alla rete unica. Poi con il tavolo voluto dal governo che aveva coinvolto Vivendi, Cdp, Palazzo Chigi e il ministero del made in Italy. Adesso pare che per fine prossima settima o inizio dell’altra ancora possa essere la volta buona. Cassa Depositi e Prestiti potrebbe fare la sua offerta prima del cda di Tim del 24 febbraio che arriva quattro giorni prima rispetto alla scadenza del 28 che sarebbe stata indicata in modo non perentorio da Kkr.

Ma quanto deve mettere sul piatto Cdp? Sicuramente di più dei 18-19 miliardi di cui si parlava, visto che l’unica certezza ci arriva dal fatto che la proposta di Kkr abbia il “2” davanti. E che nel perimetro non sia ricompreso l’ormai famoso backbone, la cosiddetta spina dorsale della rete che vale tra i 3 e i 3,5 miliardi. Non solo. Perché il gruppo guidato da Dario Scannapieco si porta in dote, a differenza di Kkr, il rischio Antitrust per la partecipazione di maggioranza in Open Fiber. Situazione non semplice. 

Cambio di guardia sulla presidenza

Vivendi poi ha anche un’altra carta da giocarsi ed è quella del consiglio di amministrazione. E’ dal giorno delle dimissioni a sorpresa di de Puyfontaine (16 gennaio) che ha lasciato il consiglio perché non si sentiva rappresentato e perché chiedeva da tempo un cambio di guardia sulla presidenza, con Sarmi al posto di Rossi, che ci si chiede cosa potrebbe succedere se questo Cda, senza rappresentanti del primo azionista, dovesse prendere delle decisioni rilevanti.

E che c’è di più rilevante della risposta all’offerta di Kkr? Un’offerta che potrebbe dare una soluzione (almeno in parte) al più annoso dei problemi di Tim: quello del debito. Sia nel caso dovesse arrivare la contro-offerta di Cdp che nel caso contrario i consiglieri saranno chiamati a prendersi una bella responsabilità. Nell’ultimo consiglio, infatti, non solo non c’erano i francesi, ma non c’erano neanche i rappresentanti del secondo azionista, cioè di Cdp. Sia Gorno Tempini (presidente di Cassa) che Massimo Sarmi (presidente di Fibercop partecipato da Kkr) sono usciti dal consiglio quando si è trattato di parlare dell’offerta perché in conflitto di interessi.

Solo Assogestioni

Insomma sarebbero i soli rappresentanti di Assogestioni (che all’assemblea hanno preso meno del 2% dei voti) a condurre il gioco. Difficile che i francesi – che stanno mostrando in tutti i modi fiducia e attenzione verso il governo Meloni- possano arrivare allo strappo istituzionale e impugnare la decisione del consiglio, ma sulla carta potrebbero convocare un’assemblea presentando una propria lista di maggioranza, anche in forza della recente sentenza della Corte di Cassazione che li libera dall’obbligo di dover consolidare il debito di Tim anche in caso di maggioranza di consiglieri nel Cda.

Insomma, oggi Vivendi può permettersi il lusso di stare seduto sulla riva del fiume e aspettare le mosse degli altri. Un cambio totale di prospettiva grazie alla mossa di Kkr.

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