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FinanzaPrimo piano Sab 28 gennaio 2023

Vivendi non cede la quota in Tim: 24 miliardi per la rete non bastano

Il primo azionista di Tim: "Un'offerta da 24 miliardi sarebbe lontanissima dal valore congruo". Intanto Giorgetti... Vivendi non cede la quota in Tim: 24 miliardi per la rete non bastano ARNAUD DE PUYFONTAINE
Tobia De Stefano
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Tobia De Stefano

Con una lunga esperienza nel settore economico, ha lavorato a Libero Mercato e Libero. Ora è alla Verità e scrive per Panorama e Verità & Affari

Il risiko della rete

Più che una partita a poker quella che si sta combattendo su Tim e il progetto di rete pubblica assomiglia a una sorta di Risiko, dove i vari giocatori lanciano i dadi e poi decidono se attaccare o spostarsi e aspettare tempi migliori. L’ultima mossa è del primo azionista di Tim, Vivendi (con il 23,9%) che replica in realtà alle indiscrezioni di stampa circolate questa mattina. I francesi chiariscono che la possibile offerta di Cdp per la rete di Tim non verrebbe accolta con favore anche se la valutazione dovesse superare i 18-19 miliardi di cui si parla e arrivare a quota 24 grazie agli aiuti di Stato per il settore. Nell’operazione la Cassa – che è il secondo azionista di Tim con una quota di poco inferiore al 10% e primo azionista di Open Finer con il 60% – potrebbe essere accompagnata dal fondo australiano Macquarie (secondo azionista di Open Fiber) e forse da Kkr, il fondo Usa ha il 37,5 di Fibercop, la società controllata Tim che porta la fibra dagli armadietti in strada alle abitazioni. 

“Una ipotetica valutazione o anche offerta per la rete di Tim di 24 miliardi sarebbe lontanissima dal valore che Vivendi giudica congruo“, dichiarano fonti vicine al primo azionista del gruppo di tlc facendo riferimento alle ricostruzioni di stampa. Non è il primo e non sarà l’ultimo botta e risposta tra il primo e secondo azionista di Tim che da tempo ormai – basti vedere quello che è successo con il Mou e l’offerta mai arrivata da parte  Open Fiber sulla rete – non riescono a trovare la quadra  sulla valutazione della rete che fa capo a Tim e che dovrebbe ricomprendere anche Sparkle e la stessa Fibercop. Cdp sembrava non si scostasse da quota 17-18 miliardi, mentre per Vivendi di miliardi ne servirebbero almeno 31.

Gli aiuti pubblici per le tlc

C’è la speranza che gli aiuti pubblici per il settore di cui si è discusso nel quinto round del tavolo sul dossier rete voluto dal governo possano limare le differenze, ma anche qui c’è da risolvere il problema delle coperture e dei tempi. Dove si trovano le risorse e quanto tempo ci vorrà per tagliare l’Iva al 10 o addirittura al 5% e inserire le telco tra le società energivore con le conseguenti implicazioni fiscali? 

Così come sono da decriptare le dichiarazioni del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti (il Mef controlla Cdp) che alla domanda su una possibile offerta per la rete ha risposto con un certo distacco, come se la discussione sull’offerta stessa non lo riguardasse: “Quando arriverà, se arriverà, la valuteremo… Seguiamo la situazione come Mef anche da “azionista”, ma Tim è una situazione complessa perché ci sono più interlocutori…”.  

Insomma, si parte da due certezze. La prima è che i tempi per la rete si allungano e la seconda e che al momento una quadra sul tema della valutazione della rete è lontana. Anche perché secondo le fonti finanziarie consultate da Verità&Affari è assolutamente infondata la voce che metteva in relazione l’addio di de Puyfontaine, l’amministratore delegato di Vivendi, al cda di Tim con una volontà di allontanamento del colosso francese dei media da Tim. Detta fuori dai denti: Vivendi – secondo quanto appreso – non ha nessuna intenzione di vendere il suo pacchetto del 23,9% di azioni di Tim e anzi – come del resto ricordato anche nel giorno del passo di indietro dell’ad – ha intenzione di continuare a investire nel mercato italiano. 

L’ordinanza della Corte di Cassazione

Non va neanche dimenticato infatti, che in questa infinita partita a Risiko i francesi hanno segnato un punto a loro favore grazie all’ordinanza della Corte di Cassazione che ha risposto picche al ricorso della Consob stabilendo che Vivendi non controlla Tim. Questione che è tutt’altro che tecnica: vuol dire infatti che se i francesi dovessero proporre le revoca dell’attuale cda e puntare, con una propria lista, alla maggioranza del consiglio non dovrebbero consolidare a bilancio i 20 miliardi del debito netto di Tim. E visto che al momento (dopo le dimissioni di de Puyfontaine) Vivendi non ha suoi rappresentanti nel cda, la decisione della Cassazione è tutt’altro che secondaria. Anche per questo c’è attesa per il consiglio di amministrazione di Tim del 14 febbraio, quando saranno presentati aggiornamenti al piano industriale.

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