Un autunno caldo per le imprese: «Si rischia il boom di fallimenti»
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Imprese Dom 26 giugno 2022

Un autunno caldo per le imprese: «Si rischia il boom di fallimenti»

Bisogna infatti prepararsi a un autunno caldo per i fallimenti. E’ questa in sintesi l’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre. Un autunno caldo per le imprese: «Si rischia il boom di fallimenti»
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L’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre

Che la crisi morda le imprese è un dato ormai assodato, ma il peggio sembra che debba ancora arrivare. Bisogna infatti prepararsi a un autunno caldo perché il rischio che il numero dei fallimenti «torni ad aumentare in misura preoccupante è alquanto probabile». E’ questa in sintesi l’analisi dell’Ufficio Studi della Cgia di Mestre, secondo la quale «tra il deterioramento del quadro economico generale (ascrivibile al caro energia/carburante e all’impennata dell’inflazione), l’impossibilità di cedere i crediti acquisiti con il superbonus 110 per cento (che ammontano a circa 4 miliardi di euro) e i mancati pagamenti della pubblica amministrazione nei confronti dei propri fornitori (secondo l’Eurostat sono almeno 55,6 miliardi di euro) molte attività commerciali e produttive rischiano di dover portare i libri in tribunale». Ma, sottolinea l’Ufficio Studi, c’è una «specificità tutta italiana»: per molte di queste imprese la chiusura definitiva non sarà causata dall’impossibilità di pagare i propri debiti, ma per i crediti inesigibili, dovuti in grandissima parte alle inadempienze dello Stato.

Cosa aspettarci in autunno

Su quali fondamenta si poggia lo scenario negativo ipotizzato dagli artigiani mestrini? «Se guardiamo la serie storica degli ultimi 10 anni, il picco massimo delle “chiusure” è stato raggiunto nel biennio 2014-2015, ovvero 1,5/2 anni dopo la crisi del debito sovrano che ha colpito pesantemente il nostro Paese», spiega la Cgia. «Come in tutte le recessioni, gli effetti si esplicitano successivamente». Così, dopo le difficoltà causate dal Covid nel 2020-2021 e gli effetti negativi a causa alla guerra in Ucraina, «a partire dal prossimo autunno il numero dei fallimenti potrebbe tornare a crescere e subire una brusca impennata nel corso del 2023».

Il numero di fallimenti

Negli ultimi 10 anni, il numero massimo di fallimenti si è registrato nel 2014 (14.735 casi). Dopodiché, c’è stata una progressiva riduzione che si è arrestata nel 2020 (7.160 casi). Ma, secondo l’Ufficio Studi, è stato un anno particolare: «A causa del lockdown, infatti, ricordiamo che anche i tribunali fallimentari sono rimasti chiusi per mesi, influenzando negativamente la produttività degli uffici, anche in termini di sentenze. Nel 2021, infine, il dato ha iniziato a risalire e alla fine dell’anno si è attestato a 8.498 fallimenti».

La Cgia sottolinea che, di fronte a norme incerte, che da mesi stanno condizionando negativamente l’applicazione del superbonus del 110 per cento, gli intermediari finanziari (banche, istituti finanziari ecc.) hanno praticamente bloccato gli acquisti del credito. «Attualmente sono oltre 5 i miliardi di euro di crediti in attesa accettazione; di questi, circa 4 si riferiscono a prime cessioni o sconti in fattura. A fronte di questa situazione, le imprese del comparto casa (edili, dipintori, installatori impianti, falegnami ecc.) non sono più in grado di fare gli sconti in fattura. E con crediti fiscali già acquisiti e non cedibili, che in molti casi ammontano a centinaia di migliaia di euro per singola azienda, molte realtà si trovano in crisi di liquidità e sul punto di sospendere i cantieri, non essendo più in grado di pagare i fornitori», spiega lo studio.

I debiti commerciali della pubblica amministrazione

Ma c’è una situazione ancor più problematica: rimane lo stock dei debiti commerciali di parte corrente in capo alla nostra pubblica amministrazione, «che continua vergognosamente ad aumentare», scrive la Cgia . Nel 2021, infatti, i mancati pagamenti ammontavano a 55,6 miliardi di euro. «Ciò vuol dire che le imprese che lavorano per la pubblica amministrazione non hanno ancora incassato una cifra spaventosa che è pari al 3,1 per cento del Pil nazionale; segnaliamo, infine, che nessun altro paese presente nella Ue registra un’incidenza così elevata». Rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso, dice l’Ufficio Studi di Mestre, anche nei primi cinque mesi di quest’anno il numero dei fallimenti è in calo (-20,6 per cento).
settori a rischio

In termini assoluti sono stati 3.133 gli imprenditori che hanno portato i libri in tribunale (-815 rispetto allo stesso arco temporale del 2021). «I settori più a rischio sono il commercio e l’edilizia che, in questa prima parte dell’anno, hanno registrato rispettivamente 722 e 577 chiusure». Sempre in questa prima parte del 2022, a livello regionale solo la Liguria ha visto aumentare il numero di fallimenti; tutte le altre, invece, sono in deciso calo. A livello provinciale, infine, preoccupa la situazione di Verbano-Cusio Ossola, Latina, Ragusa, Trapani e Siracusa.

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