Un’impresa su 3 ora rischia il deafult. In bilico146 mila pmi italiane
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Imprese Dom 17 luglio 2022

Un’impresa su 3 ora rischia il deafult. In bilico 146 mila pmi italiane

Sono 146 mila le piccole imprese italiane, prevalentemente artigiane, scivolate nell'area dell'insolvenza. E di conseguenza segnalate. Un’impresa su 3 ora rischia il deafult. In bilico 146 mila pmi italiane
Redazione Verità&Affari
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I dati dei fallimenti delle imprese

Sono 146 mila le piccole imprese italiane, prevalentemente artigiane, scivolate nell’area dell’insolvenza. E di conseguenza segnalate dagli intermediari finanziari alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia. La stima è dell’ufficio studi della Cgia di Mestre, secondo cui questa «schedatura preclude a queste attività di accedere a un nuovo prestito» e le espone concretamente al rischio di usura. Il dato è particolarmente significativo anche sul fronte occupazionale: si tratta di un numero di piccole e medie imprese che complessivamente danno lavoro a circa 500 mila addetti.

La morte civile

«Per i destinatari di questa misura è come essere stati condannati alla “morte civile”, un istituto giuridico diffuso in Europa fino al XIX secolo che al condannato comportava la perdita di tutti i diritti civili e il conseguente allontanamento dalla società» ha evidenziato la Cgia in una nota. Come ricorda l’ufficio studi, la segnalazione presso la Centrale dei Rischi impedisce poi di fatto agli imprenditori di accedere ad eventuali aiuti economici dal sistema bancario. Di conseguenza, queste aziende rischiano «molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di scivolare tra le braccia degli usurai» ha evidenziato la nota. Per evitare che questa criticità si diffonda, la Cgia continua a chiedere con forza il potenziamento delle risorse a disposizione del «Fondo di prevenzione dell’usura». Strumento, quest’ultimo, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità.

La crisi dei terzisti

Per l’ufficio studi, «è bene ricordare che gli imprenditori che finiscono in questa black list della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda. Nella maggioranza dei casi, infatti, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere i pagamenti dei committenti o per essere “caduti” in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi». Inoltre, secondo la Cgia, è comunque «doveroso segnalare che nell’ultimo anno il numero complessivo delle attività segnalate alla Centrale dei Rischi è sceso di oltre 30 mila unità. Questo lo si deve, in particolar modo, all’attività di “prevenzione” innescata dalle significative misure pubbliche di garanzia e dalla moratoria dei debiti per le Pmi introdotte in Italia dal 2020 per contrastare la crisi pandemica che ha aumentato notevolmente lo stock complessivo dei prestiti erogati alle attività produttive. Queste iniziative sono state più volte prorogate. Da ultimo, fino al prossimo 31 dicembre, data oltre la quale, il differimento potrebbe terminare definitivamente».

Potenziare l’antiusura

In questo contesto, secondo la Cgia è necessario potenziare tutte le misure che sia in grado di evitare che i piccoli imprenditori finiscano nelle mani degli strozzini. Soprattutto al Sud. Nel Mezzogiorno è a rischio un’impresa su 3 è al Sud. A Roma, Milano, Napoli e Torino le situazioni più critiche. Secondo i dati della Cgia, a livello provinciale il numero più elevato di imprese segnalate come insolventi si concentra nelle grandi aree metropolitane.

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