Iadicicco: «Il governo sostenga le imprese. A rischio una su tre»
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Imprese Gio 20 ottobre 2022

Iadicicco (Anpit): «Il governo sostenga le imprese. A rischio una su tre»

L'allarme lanciato da Federico Iadicicco, presidente di Anpit Azienda Italia,, dal Festival Economica, a Roma. Iadicicco (Anpit): «Il governo sostenga le imprese. A rischio una su tre»
Fiorina Capozzi
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Fiorina Capozzi

Giornalista di economia e finanza con esperienza internazionale e autrice di "Vincent Bolloré, il nuovo re dei media europei" (2015) e "Telecommedia a banda larga" (2020). Riconosciuta da Reporters without borders per il suo lavoro sui media europei.

Il presidente Iadicicco di Anpit

“Servono risorse a sostegno delle imprese. Per trovarle è necessario uno scostamento di bilancio. Senza c’è il rischio che nel 2023 muoia un’azienda su tre”. É l’allarme lanciato da Federico Iadicicco, presidente di Anpit Azienda Italia, associazione datoriale per l’industria e il terziario, dal Festival dell’economia Economica, la casa delle imprese e del lavoro.

Lei ha un punto di osservazione privilegiato sul sistema produttivo italiano. Che cosa sta accadendo?

“É una fase molto complessa. Siamo usciti dal Covid e poi siamo entrati nella guerra in Ucraina, un disastro innanzitutto umanitario e poi anche economico-sociale. Per questo abbiamo voluto dedicare questa edizione di Economica a Guerra e Pace declinando il tema anche in chiave socio-economica. L’obiettivo è proporre delle soluzioni per rispondere alle esigenze delle imprese ed evitare un conflitto sociale che rischia di manifestarsi, anche se oggi resta ancora latente. In questo momento, le imprese stanno subendo non solo l’impatto dalla guerra, ma anche di fenomeni speculativi come l’aumento del costo delle materie prime e dell’energia. Il risultato è un aumento del costo della produzione, nonché il rischio di non riuscire più a produrre, di essere costretti a licenziare e di dover ribaltare l’aumento dei costi sui prezzi finali. Finora quello che abbiamo visto con i nostri associati è che l’aumento dei prezzi al consumo è stato limitato perché le imprese hanno preferito internalizzare, rinunciando ad un margine pur di non vedere erose quote di mercato. Ma con il protrarsi della guerra e della crisi energetica si arriverà inevitabilmente ad un aumento dei prezzi. Salirà l’inflazione e ci sarà recessione, quindi stagflazione in pieno”.

Quali sono i settori che stanno soffrendo di più?

“Nel terziario, il commercio, pubblici esercizi e alberghi stanno subendo il rincaro nei prezzi dell’energia anche se nel turismo il fenomeno è stato in parte bilanciato da una crescita nel post Covid legata al ritorno dei turisti in Italia. I comparti che stanno resistendo meglio sono quelli che lavorano presso il cliente come i servizi di pulizia e facchinaggio, nonché i settori con una elevata quota di smart-working perché c’è un minore impatto in termini di costi aziendali”.

Potrebbe mediamente quantificare l’aumento dei costi che stanno affrontando le imprese del terziario e nell’industria?

“In generale, le aziende hanno subito un aumento dell’energia che è dalle cinque alle otto volte superiore rispetto all’equivalente periodo dell’anno precedente”.

Per le materie prime si va dalle quattro alle sette volte. E come si fa a tenere in piedi un bilancio fatto su previsioni completamente diverse dallo scenario che poi in realtà si è materializzato?

“C’è infatti bisogno di un immediato intervento del governo. Purtroppo il passaggio di legislatura ha dilatato i tempi perché, per motivi politici, è stata lasciata la scelta sul da farsi al governo entrante. Si parla di reperire le risorse dai fondi europei sospesi o nelle pieghe del bilancio, ma io credo che alla fine sarà necessario comunque fare uno scostamento. Purtroppo una parte delle risorse dovrà essere finanziata in deficit perché ci vorranno almeno 50-60 miliardi. É necessario un intervento a deficit almeno per coprire l’aumento dei costi dell’ultimo trimestre 2022. E poi c’è bisogno di creare i meccanismi per abbassare il costo delle materie prime e del gas intervenendo sul meccanismo di formazione del prezzo con una riforma del sistema che ruota attorno alla Borsa di Amsterdam. Inoltre credo sia prioritario, innanzitutto per motivi umanitari, trovare una soluzione per la questione Ucraina. Ormai per l’Europa è indispensabile fermare l’escalation bellica anche per motivi economici. Il Vecchio continente sta pesantemente subendo l’impatto del conflitto. Italia e Germania in testa. Quest’ ultima, naturalmente, ha una solidità economica diversa dalla nostra e può rispondere con maggiore agio alla crisi anche con interventi sul bilancio pubblico. Noi siamo più in difficoltà”.

Se lo scostamento di bilancio non arrivasse e tutte le variabili in campo restassero invariate, quale sarebbe l’impatto sul nostro sistema produttivo?

“Credo che, alle attuali condizioni, rischieremo la chiusura di un’azienda su tre. Stiamo ultimando un’indagine fra i nostri associati. Dai primi dati emerge che un imprenditore su tre è convinto che il perdurare di questa situazione lungo tutto il 2023 potrebbe portare ad una chiusura. Il fallimento di un’azienda su tre avrebbe però comunque un impatto molto negativo sui conti pubblici… Un effetto assolutamente devastante. Perché la riduzione del Pil modifica il rapporto debito/pil. Poi c’è il problema del gettito fiscale con minori entrate per le casse pubbliche. Per non parlare del fatto che, oltre al danno economico, ci sarebbe anche un importante danno sociale. Non voglio essere profeta di sventura, ma credo che sia davvero indispensabile uno scostamento consistente da qui alla fine dell’anno. Poi il nuovo governo dovrà trovare soluzioni strutturali”.

C’è anche sul tavolo la questione degli ammortizzatori sociali che non saranno eterni, non crede?

“Noi abbiamo fatto già uno sforzo enorme negli anni del Covid. Certo, abbiamo fatto ampio uso degli ammortizzatori sociali. Il punto è però che se non cambia nulla, per tenere in piedi il Paese, facendosi carico della crisi economica e sociale, potrebbe esserci bisogno almeno delle stesse risorse usate per il Covid. Il che significa portare il debito dal 160 ad almeno il 200%. E come sarà possibile poi ripagare i debiti contratti con l’economia che annaspa? Credo che il problema si porrà a livello europeo non solo per noi, ma anche per gli altri Paesi. Forse bisogna seriamente prendere in considerazione la possibilità di congelare i debiti pubblici contratti durante il Covid, una proposta di cui già si era parlato tempo fa. Del resto se mettiamo assieme Covid, guerra e debito pubblico schizzato alle stelle e poi pensiamo di far rientrare i Paesi nei parametri, rischiamo di bloccare la crescita dell’Europa per i prossimi venti anni”.

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