Parla il fondatore Palmieri: «Vi racconto com'è nata Piquadro»
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Imprese Sab 16 luglio 2022

Parla il fondatore Palmieri: «Vi racconto com'è nata Piquadro»

Si è definito un ragazzo un po' discolo. Ma Marco Palmieri, ceo di Piquadro, marchio che significa un gruppo (Piquadro, The Bridge e Lancel). Parla il fondatore Palmieri: «Vi racconto com'è nata Piquadro»
Paola Bulbarelli
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Paola Bulbarelli

Il fondatore di Piquadro Palmieri

Si è definito un ragazzo un po’ discolo. Ma Marco Palmieri, ceo di Piquadro, marchio che significa un gruppo (Piquadro, The Bridge e Lancel) da 149,4 milioni di euro, quotato in Borsa dal 2007, ha dimostrato che la sua giovanile irrequietezza andava di pari passo con disciplina e creatività. E passione. Le origini di Piquadro risalgono al 1987 quando Palmieri fondò la sua azienda che inizialmente produceva in conto terzi sull’Appennino Tosco-emiliano, a metà strada tra Bologna e Firenze, dove tuttora si trova il quartier generale nell’avveniristico stabilimento in vetro e cemento progettato dall’architetto Karim Azzabi.

Da dove parte la storia?

«Mi occupavo di altro, studiavo informatica, agli inizi della microinformatica. Contemporaneamente ho iniziato a vendere prodotti di pelletteria per una aziendina. Mi sono reso conto che il pellame veniva tagliato in un modo antico, ancora con le fustelle che si usavano mille anni fa mentre c’erano delle tecnologie per tagliare il tessuto molto evolute. Ho iniziato così a lavorare, con le competenze da informatico che avevo acquisito, a un sistema automatizzato del taglio dei pellami. Ho portato avanti questo doppio lavoro: da una parte collaboravo con le aziende di pelletterie e dall’altra parte mettevo a punto questo sistema che ho poi realizzato e venduto a una grossa azienda del settore. Da quel momento mi sono dedicato anima e cuore alla pelletteria».

Esperienza sul campo.

«Esattamente. L’altro momento importante è stato quando abbiamo deciso di fare una linea nostra, appunto Piquadro. Mi sono concentrato su una linea che avesse una identità tecnologica. Allora le borse da uomo erano legate al cuoio e alla pelle. Noi dovevamo fare altro, cose funzionali, portacomputer che 25 anni fa non esistevano. Ci siamo rivolti, sia come funzione d’uso che come aspetto, ai tecnologi, agli ingegneri, agli informatici, in pratica, il nostro mondo. Abbiamo quindi studiato l’azienda su di noi, gente che amava la tecnologia, la funzionalità e la cultura del progetto. Conoscere il target ci ha dato un indubbio vantaggio».

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