Si è risollevata dal terremoto, ora rischia di chiudere per le bollette
Menu

QUOTIDIANO INDIPENDENTE - Fondato e diretto da MAURIZIO BELPIETRO

Home/ Imprese
Imprese Lun 10 ottobre 2022

L'impresa che si è risollevata dal sisma e che ora rischia di chiudere per le bollette

La Svila che ci ha messo un mese dopo il terremoto del 2016 a riaprire lo stabilimento. Ma ora rischia di chiudere, causa caro energia. L'impresa che si è risollevata dal sisma e che ora rischia di chiudere per le bollette
Carlo Cambi
di 
Carlo Cambi

La storia della Svila

La prossima volta che qualcuno racconta che bisogna smettere di usare i combustibili fossili per evitare il collasso del pianeta e la fine del genere umano raccontategli questa storia. Conoscerla farebbe bene anche Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea convertita sulla via di Greta a un Green deal che ha fatto più disastri della grandine.

Dovrebbe, la baronessa, fare una passeggiata dalle parti di Visso, un gioiello medievale che custodisce tra i tanti patrimoni anche il manoscritto originale dell’Infinito di Giacomo Leopardi. Era il crocevia della Val Nerina, quella dove affondano e germogliano le radici d’Europa. In una notte è stata rasa a suolo e ancora lì giace. Se lo dimenticano tutti, ma poco più a Ovest a Norcia è nato San Benedetto; dopo il buio della caduta dell’impero romano riaccese la luce delle comunità. È così importante per l’Europa da esserne il patrono e l’Europa se ne era ricordata dopo il terremoto del 2016; dovevano arrivare montagne di quattrini in donazioni per ricostruire tutto. Non si è visto un euro ed è ancora tutto in terra come a Visso.

Il cortocircuito

Tranne una fabbrica, la Svila che ci ha messo un mese dopo le scosse tremende dell’ottobre 2016 a riaprire lo stabilimento. Ma ora rischia di chiudere, causa caro energia. Ecco il cortocircuito: abbiamo cominciato a demonizzare il metano per evitare che la terra si arrabbiasse, ma si dimostra che la terra quando si arrabbia fa meno danni della demagogia umana. L’amministratore delegato della Svila Maurizio Crea – quello che si definisce davvero un buon padre di famiglia – ha chiesto ai sindacati di firmare un accordo per mettere in cassa integrazione i dipendenti da qui al 31 dicembre: 12 settimane per evitare licenziamenti. Perché là dove non ha potuto il terremoto può oggi la bolletta del gas e della luce. Ma anche l’inflazione e la giusta preoccupazione che crolli la domanda interna perché, mentre il ministero del Tesoro incassa il 13,8% in più di tasse, diminuisce il potere di acquisto degli italiani.

La Svila è una fabbrica gioiello. Un anno fa ha avviato un secondo stabilimento sempre in zona terremotata a Muccia, siamo alla propaggine ovest della provincia di Macerata, la più colpita dal sisma del 2016 con la ricostruzione che langue: per l’Ordine dei geologi a questo ritmo ci vorranno 145 anni per tirare su quello che è caduto in una notte. Produce pizze surgelate per il mercato mondiale. Ne fa circa 30 milioni di pezzi all’anno, dà lavoro ad oltre 200 persone e la proiezione era di assumerne altre 30 a Muccia, ha un fatturato poco al di sotto dei 25 milioni di euro ed esporta in 55 paesi comprando molti degli ingredienti che le servono sul mercato locale.

Dunque ha una filiera corta che per l’economia delle zone terremotate ha una straordinaria potenza di accelerazione economica. Ma ha un gravissimo difetto; usa il gas per cuocere le pizze che sono farcite a mano una per una e sono considerate le più buone del mondo tra quelle prodotte industrialmente, e usa l’elettricità per far funzionare gli abbattitori che surgelano le pizze. La bolletta energetica è passata da 650 mila euro dello scorso anno a 3,3 milioni di quest’anno col risultato di divorarsi tutto l’utile e mandare l’azienda in perdita.

Il bilancio si fa tra due mesi, ma i conti a occhio non tornano. Come ha dichiarato a Cronache Maceratesi (un sito d’informazione locale) l’ad Maurizio Crea «l’azienda è perfettamente sana: siamo massimamente flessibili possiamo lavorare su più turni, ma non possiamo permetterci di perdere fette di mercato, né soldi. Con i costi di oggi però è tremendamente difficile. L’aumento dell’energia si è portato dietro l’aumento delle farine – noi lavoriamo solo con quelle al 100 per cento italiane – delle mozzarelle, del pomodoro, dell’olio: abbiamo dei costi delle materie prime incrementati da due a tre volte. Difficile reggere così».

Mani legate

Il timore di Crea è che non ci sia una fine, che non si possa programmare: «Abbiamo fatto una stima, tra luce e gas spenderemo tra i 3,3 e i 3,5 milioni di euro. Da qui la richiesta della cassa integrazione per poter salvaguardare i posti di lavoro. Noi da anni facciamo utili, abbiamo sempre reinvestito e abbiamo la responsabilità del futuro di oltre 200 famiglie. Non siamo affatto un’azienda in crisi, ma ci sta mettendo in crisi la situazione complessiva dell’economia italiana che se non si fa qualcosa salta per aria».

La condizione della Svila è quella di altre migliaia d’ imprese. Prima di arrivare alla richiesta di cassa integrazione hanno fatto di tutto: luci spente, compressori che lavorano a orario programmato, forni razionalizzati col computer controllo di gestione rigidissimo. Ma ora il barile è stato raschiato. E si aggiungono ulteriori ostacoli. Le società di erogazione di luce e gas chiedono le fideiussioni, un pagamento anticipato di almeno due mesi di fornitura e non rinnovano i contratti se non a tariffa flessibile. Se per aziende strutturate è un problema, anche di liquidità perché le banche non concedono scoperti di cassa e con gli interessi che salgono di nuovo non è neppure conveniente, per i subfornitori è un dramma.

La Svila teme dover far fronte anche alla crisi di chi gli porta il pomodoro, la mozzarella, il prosciutto. Oltre a gestire con oculatezza bilanci e produzione questa azienda ha fatto anche la tanto decantata innovazione di processo e di prodotto. Ha diversificato le linee (produce pizze e pinse), gli impasti, i condimenti a seconda dei paesi di destinazione, ha messo in linea abbattitori ultrarapidi che “freddano” le pizze appena sfornate recuperando energia e vapori, produce a marchio proprio e in conto terzi per i maggiori brand, non ha mai rinunciato all’apporto manuale delle sue pizzaiole e dei suoi pizzaioli, ha sistemi di recupero di energia, fotovoltaico, abbattimento dell’impatto ambientale. Ma ora ha le mani legate.

E pensare che dopo il terremoto che distrusse oltre 4 mila metri quadrati di capannone e tre linee produttive, in tre settimane l’azienda riaprì. Non solo, Alex Palermo, il dinamico proprietario dell’azienda che è sorta nel 1974, a due mesi dalle scosse inaugurò la nuova mensa con le cucine dove i dipendenti potevano preparare il pranzo per tutte le loro famiglie, nel piazzale attrezzarono l’area camper per ospitare gli operai che avevano perso la casa e là dove lo Stato nulla ha fatto perché relegava queste famiglie nelle casette di emergenza o le ha deportate sulla costa costringendo gli operai a un pendolarismo di oltre 150 chilometri al giorno loro hanno creato alloggi di prossimità.

Meno gente, meno Pil

Dopo sei anni dal sisma la Svila era in notevolissima espansione in una zona che è un deserto produttivo. La ricostruzione ha del tutto ignorato lo sviluppo economico dei territori colpiti dal sisma. Le zone terremotate hanno perso il 70% degli abitanti, il 27% del Pil, la provincia di Macerata – dove opera la Svila – ha perso nelle zone montane circa 4 mila imprese.

Per comprendere il quadro complessivo basta citare l’ultimo dato emerso: secondo Confartigianato per il caro energia ci sono a rischio nella sola provincia di Macerata 5275 piccole imprese, praticamente una su cinque, in tutte le Marche sono in pre-fallimento 12 mila aziende per oltre 41 mila posti di lavoro. È chiaro che il caso Svila diventa emblematico di un paradosso: un’eccellenza messa in discussione da una crisi endogena. Perché oltre al caro energia a pesare sulle prospettive di questo polo produttivo dell’agroalimentare c’è un altro dato: l’incertezza di mercato. La prima sfida è se la domanda interna tiene. La preoccupazione è che diminuendo il potere di acquisto i consumi diventino eccessivamente selettivi. Per questo la Svila che già vende il 51% della propria produzione all’estero cerca di incrementare di almeno 4 punti l’export fidando sul fatto che è più facile far assorbire aumenti al mercato di oltreconfine.

In Italia è difficilissimo scaricare i costi incrementali di materie prime e energie anche perché la grande distribuzione con la paura di perdere cliente tende a tenere bloccati i listi anche se ornai l’inflazione alimentare supera abbondantemente il 10%. Da qui un orizzonte più buio che fa dire – sempre da Cronache Maceratesi – a Maurizio Crea: «Guardando all’estero cerchiamo di stabilizzare i conti dell’azienda per continuare a stare vicino ai nostri dipendenti e assicurar loro lo stipendio. Se si affaccia il segno meno nei conti è difficile gestire l’azienda, anche perché le banche, soprattutto alla piccola e media impresa, non concedono crediti. Resta il dato che i costi energetici attuali sono un’enormità che sta strozzando l’economia; non si può pensare di andare avanti così».

Condividi articolo