Zago, il re della carta sui rincari: «Produciamo per obbligo morale»
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Imprese Dom 21 agosto 2022

Zago, il re della carta sui rincari: «Produciamo per obbligo morale»

L’ad di Pro-gest, Francesco Zago, spiega le difficoltà del settore e rilancia in Europa l’idea del price cap Zago, il re della carta sui rincari: «Produciamo per obbligo morale»
Redazione Verità&Affari
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Il re della carta sui rincari

Sembra un normale weekend di fine agosto quello che sta trascorrendo Francesco Zago. L’amministratore delegato di Pro-gest, gruppo leader nella produzione verticale di carta, cartone e imballaggi con 28 stabilimenti nel nostro Paese, è andato a Zurigo a trovare degli amici. «È stato un mese tranquillo – ci spiega – nel nostro settore le attività rallentano in questo periodo e ne abbiamo approfittato per fare qualche lavoro di manutenzione e qualche investimento». Tutto apparentemente nella norma. Apparentemente, appunto, perché basta un attimo e i pensieri vanno subito a quel prezzo del gas che sale sempre più.

La preoccupa la situazione energetica?

«L’energia è il driver di tutte le imprese e sta condizionando pesantemente il mercato. Siamo in attesa di vedere cosa succederà a settembre. Nei mesi scorsi la domanda, in tutti i settori, è stata alta ma ora sembra che l’economia stia rallentando».

Cosa sta succedendo e quali sono i rischi di tale scenario?

«Sono le leggi del mercato. Con la domanda bassa, il consumatore va dove il prezzo è più conveniente e con questi costi dell’energia, l’Italia e l’Europa rischiano di perdere vigore. In una simile situazione la spunta chi ha diversificato i fornitori di energia o almeno chi non prende il gas solo dalla Russia».

E nel vostro settore?

«Il mondo della carta si divide in carte vergini e carte riciclate. In Italia lavoriamo quasi esclusivamente quella riciclata che ha molto bisogno di gas nel processo produttivo. A condizioni normali, considerando anche il trend ambientale degli ultimi anni, il secondo è un mercato più conveniente. Ma con i costi elevati dell’energia aumentano anche quelli della carta e si inverte paradossalmente la situazione».

Ci fa un esempio pratico?

«Storicamente una tonnellata di carta per packaging poteva essere venduta a 400-500 euro, con una componente di energia dal valore di 100 euro. Dalla guerra in poi ci siamo stabilizzati a tre volte tanto: il costo dell’energia è salito a 250 e una tonnellata di carta è arrivata a valere 700 in totale. Un aumento tutto sommato sostenibile».

Dopo?

«Da giugno in poi la componente energetica toccava la cifra di 700 euro. A queste condizioni la carta dovrebbe costare circa 1000 euro a tonnellata. Ma chi la compra? Capisce poi che la filiera della carta ha un’importanza incredibile? Tutto quello che tocchiamo è fatto di questo materiale».

Così c’è addirittura il rischio di interrompere le produzioni?

«Abbiamo degli obblighi morali e anche accordi con i comuni per la gestione della carta differenziata. Pur volendo non potremmo farlo».

Avete problemi nel reperire le materie prime?

«Per quanto riguarda la carta no. A volte abbiamo riscontrato criticità per l’amido, necessario per la nostra produzione. E per prodotti chimici. Entrambi gli intoppi sono dovuti alla guerra».

Gli aiuti del governo bastano?

«È stato fatto uno sforzo ma non è sufficiente. Ciò che dovrà fare il prossimo esecutivo è diversificare i fornitori e farsi valere a Bruxelles. L’Italia è un protagonista mondiale nel mercato della carta e non possiamo farci superare da altri Paesi. C’è chi fra questi in passato ha compiuto scelte diverse in ambito energetico. Forse l’errore è stato, come ha fatto ad esempio la Germania, affidarsi a un solo fornitore non così affidabile geopoliticamente».

Che si può fare ora?

«Essere diplomatici e riprendere l’idea del price cap. Era una buona soluzione non tanto per abbassare il costo ma per dare un riferimento. Il prezzo del gas può essere anche alto, l’importante è che sia stabile. In questo modo si possono valutare gli investimenti e si vive meno in una situazione di incertezza. È la volatilità che disturba il mercato non la cifra. Purtroppo, però, in Europa non la pensano tutti allo stesso modo».

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