Private equity, l'Italia batte il resto del mondo: 2022 anno record
Cosa emerge dal 14esimo Rapporto annuale sul Private Equity globale di Bain & Company: verso la crescita nel lungo termine.
Private equity verso la crescita nel lungo termine
Nonostante il brusco rallentamento delle operazioni, delle exit e della raccolta di fondi, innescato da una serie di rialzi dei tassi d’interesse da parte della Fed in risposta al forte aumento dell’inflazione, il 2022 si è rivelato il secondo anno più forte nella storia del private equity. Il dato emerge dal 14esimo rapporto annuale di Bain & Company.
Sebbene la battuta d’arresto, registrata da giugno in poi, lo studio di Bain evidenzia come i fondamentali del private equity rimangano solidi, differentemente da quanto avvenuto con la crisi finanziaria. Lo dimostra anche la cifra record di 3.700 miliardi di dollari di liquidità con cui si è chiuso l’anno. “Mentre il 2022 ha visto un rallentamento a livello globale del private equity, con una diminuzione del valore totale dei deal del 35% – commenta Roberto Fiorello, senior partner e responsabile italiano del private equity di Bain & Company – in Italia il 2022 è stato un anno record con un valore di buyout di 64 miliardi di dollari, contro i 36 registrati l’anno precedente. Come negli anni precedenti, i deal italiani lo scorso anno hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese. Oltre ai trasporti, tra i settori spiccano il tech, healthcare, il comparto consumer e gli industriali”.
Il valore degli investimenti
Dopo aver segnato il record nel 2021, quindi, con operazioni completate per un valore di 1.000 miliardi di dollari, a coronamento di uno straordinario ciclo di crescita del settore durato 12 anni, l’improvviso rallentamento dell’attività nel 2022 ha visto il valore globale delle acquisizioni (esclusi gli add-on) calare bruscamente, del 35%, per chiudere l’anno a quota 654 miliardi di dollari. Il numero complessivo di operazioni si è contratto del 10%, con circa 2.300 deal, grazie soprattutto allo straordinario slancio della prima metà dell’anno. Il forte calo dell’attività e del valore delle transazioni nel secondo semestre è stato avvertito in tutte le regioni e nella maggior parte dei settori, con un particolare ribasso in Asia, a causa delle ripetute chiusure del mercato dovute alle misure per il contenimento del Covid.
L’inversione di tendenza ha colpito anche gli investimenti in growth equity e in venture late-stage, segmenti in precedenza molto attivi. Il valore complessivo delle transazioni in questi segmenti è sceso del 28% a 644 miliardi di dollari. Le exit si sono contratte in misura ancora maggiore rispetto all’attività di investimento: le dismissioni sostenute da buyout sono scese del 42% a 565 miliardi di dollari, mentre le uscite di growth equity sono crollate del 64% a 312 miliardi di dollari.
Ma mentre il 2022 ha visto un rallentamento a livello globale del private equity, con una diminuzione del valore totale dei deal del 35%, in Italia il 2022 è stato un anno record con un valore di buyout di 64 miliardi di dollari, contro i 36 registrati l’anno precedente. Come negli anni precedenti, i deal italiani hanno riflettuto l’ampio spettro di settori economici del Paese. Oltre ai trasporti, tra i settori spiccano il tech, healthcare, il comparto consumer e gli industriali.
Le prossime sfide per i fondi di private equity
Transizione energetica globale e Web3: sono queste le due sfide che si aspettano i fondi. La pressione sulle società di private equity per la decarbonizzazione dei portafogli si è intensificata nel 2022, con le autorità di regolamentazione, i consumatori, i clienti B2B e gli investitori che hanno intensificato le richieste di cambiamento. Al tempo stesso, la corsa allo sviluppo di fonti energetiche alternative e di altre soluzioni a basse emissioni di carbonio sta dando vita a un’opportunità generazionale per mettere il capitale al lavoro, che deve essere coltivata dai fondi sviluppando competenze e network.
Anche le tecnologie del Web3 sono destinate a rappresentare, nei prossimi 10 anni, un trend di vasta portata in grado di impattare in modo significativo sulle imprese e sui mercati: per molti fondi è il momento di costruire un know-how su questo tema e valutare come sfruttare i cambiamenti tecnologici. “Per le società di private equity – conclude Fiorello – sarà imprescindibile riuscire a adattarsi a queste nuove pressioni macroeconomiche, se vogliono vincere in questo difficile contesto. Gli operatori dovrebbero cercare di puntare su gruppi di clienti e settori con una minore sensibilità ai prezzi e concentrarsi maggiormente sulla crescita organica del business, alla luce delle sfide legate alle tecnologie emergenti, ai trend demografici e alla crescita più debole del Pil”.