Il modello Epicode: "Giovani formati sulle esigenze delle aziende"
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ApprofondimentiLavoro Ven 24 febbraio 2023

Lavoro, il modello Epicode: "Formiamo i giovani in base alle esigenze delle aziende. Con la crisi meno dimissioni"

Ivan Ranza, ceo di Epicode: "Tasso di placement dei nostri studenti oltre il 90%. Il governo segua il modello tedesco sulla formazione". Lavoro,  il modello Epicode: "Formiamo i giovani in base alle esigenze delle aziende. Con la crisi meno dimissioni" Ivan Ranza, ceo Epicode
Alberto Mapelli
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Alberto Mapelli

Il modello Epicode

Formare i giovani per dargli la possibilità di costruirsi una carriera nel mondo del tech con programmi ad hoc strutturati in base alle esigenze delle aziende. È il modello di formazione lanciato da Epicode, società edutech tra le più in crescita in Europa e tra le 200 migliori startup e tech del panorama europeo, secondo il report Europe EdTech 200 di Holon IQ. A parlarne a Verità&Affari è Ivan Ranza, co-founder e ceo di Epicode.

Come nasce l’idea di Epicode e qual è la missione che si pone?

“Per molti anni ho lavorato nel mondo dei media e mi sono reso conto della distanza sempre crescente tra le competenze che cercavano le aziende e quelle dei giovani. Non per incapacità, ma semplicemente perché formati non pensando alle necessità delle imprese. Epicode, nata poco più di due anni fa, si ispira al modello americano. Siamo nel mondo della formazione, ma non siamo una scuola: siamo un acceleratore di carriera. La nostra missione è dare una possibilità a chi vuole cambiare vita di farlo insegnandogli un mestiere che sarà sempre più richiesto in ambito digitale e formando le persone direttamente in base alle necessità delle aziende con cui ci confrontiamo continuamente. Non è un caso che il nostro tasso di placement sia superiore al 90% nonostante siamo nati solo da poco più di due anni”.

In quali settori formate i giovani e qual è la vostra offerta?

“I nostri programmi sono fatti dal mercato. In base alle esigenze delle imprese li aggiorniamo. Abbiamo corsi di programmazione, cybersecurity, data analyst e marketing technology. Sono corsi intensi, generalmente della durata di tre o sei mesi, full time o part time, che hanno anche un costo importante, ne siamo consapevoli, ma proprio questo aspetto ci consente di fare già una prima scrematura: accogliamo giovani motivati, che vogliono davvero rilanciarsi e che hanno delle capacità oggettive. Molti sono ragazzi disoccupati o che non trovano soddisfazione nei corsi universitari perché percepiscono che non stanno venendo formati per essere pronti al mondo del lavoro”.

Andate quindi a colmare la distanza tra mercato del lavoro e potenziali lavoratori.

“E andiamo a insegnare non solo le hard skill, ma anche le soft skill. Continue valutazioni e analisi delle capacità di lavorare in team, riproposizione di situazioni che possono trovarsi sul futuro posto di lavoro”.

Vi occupate anche del placement al termine dei corsi?

“Con le aziende c’è un confronto costante, anche sui programmi dei singoli corsi per adattarli alle esigenze di realtà che ci dicono di avere bisogno di un numero di persone con determinate capacità ma che non si trovano sul mercato. In base ai corsi abbiamo diverse politiche, ma per alcuni garantiamo il rimborso anche completo se, nonostante una ricerca attiva del lavoro, non si trova un posto entro un anno dal termine del corso. A oggi oltre mille dei nostri studenti hanno trovato lavoro. Se mi consentite una battuta, abbiamo fatto con fondi privati il lavoro che avrebbero dovuto fare i navigator”.

Organizzate corsi anche direttamente per le aziende?

“Organizziamo corsi di reskilling per formare e aggiornare risorse che sono già all’interno di un’azienda e che per necessità hanno bisogno di essere rilocate”.

Quanto state crescendo in termini di fatturato?

“Nel 2023 la prospettiva è di avere 1.500 studenti che arrivano alla fine del corso. In termini di fatturato la prospettiva è di aumentare del 200% i ricavi dell’anno passato e di tenere all’incirca questo ritmo anche nei prossimi anni”.

Epicode è una realtà totalmente privata, ma, come altre impegnate nel settore, sta tracciando una nuova via per andare incontro alle esigenze delle aziende, con benefici per tutti. Lo Stato vi supporta? E se non lo fa, come potrebbe farlo?

“Noi siamo attivi anche in Germania dove, a differenza di qui, riceviamo dei sussidi ma indiretti. Il modello tedesco è semplice ma molto virtuoso. Ai disoccupati viene dato un voucher per la formazione da spendere presso piattaforme specializzate, tipo la nostra. In questo modo si creano risorse specializzate e pronte per lavorare, che incontrano le esigenze delle aziende in pochi mesi. Le piattaforme vengono poi valutate in base ai risultati di placement e di qualità dell’offerta. Un modello efficiente che consente di spendere bene le risorse e di dare nuove possibilità a chi è rimasto indietro. Se fossi un politico copierei il modello della Germania”.

Con lo scoppio di una nuova crisi economica avete notate tendenze diverse di chi vi sceglie?

“Abbiamo percepito il rallentamento del fenomeno della Great Resignation. Prima della guerra il 35% delle persone che si iscriveva a un nostro corso si era licenziato per farlo, ora con le condizioni macroeconomiche così incerte solo il 4% si dimette. Ma questo non significa che le motivazioni si siano estinte: tantissimi dei nostri giovani ci spiegano che l’insoddisfazione e il desiderio di cambiare vita ci sono ancora, ma che le attuali condizioni li fanno essere più prudenti. Anche per questo abbiamo lanciato dei corsi part time, per consentire a queste persone di conciliare le due cose”.

Perché investire il proprio futuro in una formazione nel tech?

“Oggi la digitalizzazione si sta diffondendo in tutto il mondo del lavoro. In qualunque settore le competenze che insegniamo saranno spendibili. Le persone ormai hanno la consapevolezza che con un po’ di studio ci sono opportunità in questi settori e ce ne saranno molte di più nei prossimi anni. Non solo, con lo smartworking ormai sdoganato ci sono moltissime aziende britanniche e tedesche che assumono a distanza tanti italiani in questo settore perché gli consente di risparmiare, garantendo stipendi più alti della media di quelli italiani. È un tema che, ovviamente, ha un lato preoccupante se pensiamo a quanti lavoratori specializzati mancano alle aziende italiane. Ma, d’altra parte, questo moltiplica le opportunità per chi decide di mettersi in gioco”.

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