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LavoroPrimo piano Mar 20 dicembre 2022

Inapp, i salari sono al palo. Aumentano le disuguaglianze

Gli stipendi sono fermi da trent'anni, mentre crescono in Francia e in Germania. La quota di reddito dell'1% di ricchi è salita del 60% Inapp, i salari sono al palo. Aumentano le disuguaglianze Industria automobilistica
Redazione Verità&Affari
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L’Italia è un Paese per ricchi. Non certo per gente che lavora

Lo certifica l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche che evidenzia come in Italia i salari siano fermi da almeno trent’anni, mentre la fascia più ricca della popolazione diventa sempre più benestante. Secondo l’analisi dell’Inapp, l’Italia è l’unico Paese dell’area Ocse in cui, dal 1990 al 2020, il salario medio annuale è diminuito (-2,9%), mentre in Germania è cresciuto del 33,7% e in Francia del 31,1%. “In queste tre decadi è aumentato il divario tra la crescita media dei salari nei Paesi Ocse e la crescita dei salari in Italia, progressivamente dal -14,6% (1990-2000), al -15,1% (2000-2010) e, infine, al -19,6% (2010-2020)”  si legge in una nota dell’Istituto.

I punti critici del mercato del lavoro italiano

Durante il workshop su salari e produttività, organizzato da Inapp, è emerso che a giocare contro l’aumento dei compensi dei lavoratori è stata la competizione con i paesi esportatori di prodotti a basso valore aggiunto, oltre al ricorso alla manodopera a basso costo e bassa qualificazione, che hanno ridotto il livello di produttività nell’economia italiana. Non a caso nel nostro Paese la produttività del lavoro ha registrato una dinamica più lenta rispetto agli altri Stato dell’Unione.  In pratica i salari italiani sono “in gabbia” intrappolati tra scarsa produttività e esigenze di riduzione dei costi da parte delle imprese. 

Il risultato è un aumento delle disuguaglianze

Per gli esperti dell’Inapp, la bassa produttività e il blocco dei salari hanno accentuato le disuguaglianze. Sulla base del reddito lordo, secondo il World Inequality Database (WID), nel periodo 1990-2021, in Italia, la quota di reddito totale detenuta dal 50% più povero della popolazione ha registrato un progressivo e costante calo: si è passati dal 18,9% del 1990 al 16,6% del 2021. Al contrario, la quota del reddito detenuta dal top 1% è aumentata di circa il 60%.

Il salario minimo potrebbe essere una soluzione?

Qualcuno sostiene che potrebbe trattarsi di un nuovo fattore di rigidità per il mercato del lavoro. Per Inapp, la questione andrebbe affrontata invece nella sua complessità per “costruire un sistema di diritti e condizioni lavorative decenti, che può benissimo coesistere con misure e intese che incrementino produttività e liberino risorse per un aumento delle retribuzioni”. 

Per Inapp il taglio del cuneo fiscale in legge di bilancio è un primo “passo importante”

“Certamente la riduzione del cuneo fiscale inserita nella legge di Bilancio è un passo importante – ha dichiarato il presidente dell’Inapp, Sebastiano Fadda – fa crescere il salario netto senza aumentare il costo del lavoro per le imprese. Tuttavia, è ora necessaria una energica politica industriale finalizzata a rimuovere le cause della stagnazione della produttività e a stimolare la dinamica salariale, con beneficio per la crescita della domanda aggregata e del livello di attività economica”.

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